img_2389Siccome diverse persone attorno a me stanno traendo notevoli benefici dallo yoga, ho deciso di provarci anch’io.
Avevo fatto una lezione, anni fa, ma la mia labirintite cronicizzata, grazie a cui non possiedo il benché minimo senso d’equilibrio, mi ha reso quell’esperienza come una delle più frustranti, faticose e detestabili che io abbia avuto in palestra.
Il mio era il saluto al sole più sbilenco dell’universo, l’albero più pericolante del creato, il cane più lamentoso della terra e il guerriero più ubriaco dell’esercito.

Dieci anni di acciacchi dopo, ho deciso di riprovarci e così, qualche sera fa, sono andata a fare una lezione di prova.
Entusiasta per la mia decisione e soddisfatta per la vicinanza del centro a casa mia, entro in questo luogo in penombra, con gente pacata che parla sottovoce, tatami pronti, tutti in calzette, cuscini sparsi, musica da beauty center, di cui smetti di accorgerti dopo tre note.

Bene, mi posiziono nel mio angolo in fondo e mi aspetto grandi cose. Da me, soprattutto.
L’insegnante sorride, è accogliente, ha una voce calda e ci suggerisce di sdraiarci e rilassarci. Eseguo, mentre lei dichiara iniziata la lezione sbatacchiando un pestello in un mortaio di metallo e producendo quel tipico suono da film sulla mafia cinese, quando l’eroe scende nella caverna dell’oracolo e ancora non ha capito che l’oracolo ha numeri dispari di braccia e teste rilassante da Oriente antico e saggio.

Si comincia.
Siamo tutti sdraiati, occhi chiusi, seguiamo la voce dell’insegnante che dice di inspirare, inspirare, inspirare. L’espirazione dev’essere implicita, mi impappino. Recupero il respiro sperando che vada bene e siccome sono viva, per quanto mi riguarda è sufficiente.
Comincio a sentirmi un troll a un party di fatine.

La donna sdraiata dalla parte opposta alla mia sbadiglia rumorosamente. Va bene, siamo umani, capita. Una volta.
Intanto dobbiamo inspirare e concentrarci sulle nostre braccia – un altro sbadiglio rumoroso – poi inspirare e concentrarci sulla nostra schiena – un altro sbadiglio rumoroso – poi inspirare e concentrarci sulle nostre gambe – un altro sbadiglio rumoroso – eccheccazzo, spingetela via, fatela rotolare fuori dalla porta, per favore!
Sono misofonica: se tu sbadigli rumorosamente mi mandi il sangue al cervello e anziché inspirare e concentrarmi sui miei arti, io inspiro e mi concentro sui tuoi. Sparsi.
Forse non sono portata per lo yoga. O forse ne ho effettivamente bisogno.

Comunque, dopo una decina di sbadigli rumorosi, la signora dallo spirito libero la smette e io riesco a inspirare e rendermi conto che ho la muscolatura di un’ottantenne allettata.
Mi fa male l’arco del piede se mi siedo a gambe incrociate, mi fa male l’alluce artritico se devo appoggiarmi sulle dita dei piedi, mi viene un crampo se devo stirare la gamba, mi incricco se devo fare una semplice torsione del busto.
Scopro anche, con raccapriccio, che non riesco nemmeno a toccarmi le mani dietro la schiena, cosa che fino a poco tempo fa riuscivo a fare intrecciando le dita senza problemi. Poco tempo fa, quanto? Quand’è l’ultima volta che ci ho provato? Quando ho controllato di essere ancora elastica? Quando ho smesso di esserlo?
Che schifezza sono diventata?
Tutto mi fa male. E nemmeno capisco bene gli esercizi. Dove va la gamba sinistra? Dove metto il braccio destro? Sopra la testa o oltre la testa? Gli addominali quando inspiro o quando espiro? Devo tirare verso di me il ginocchio prima o dopo aver stirato la schiena?
Non capisco, mi perdo, sbircio, copio, tutti sembrano perfetti, un collettivo dalla coreografia impeccabile. Io m’imbelino persino sdraiata sul tatami.

Dopo un’ora, l’insegnante sospira una parola in lingua sconosciuta, molti le rispondono bofonchiando le stesse consonanti (non è la nostra lingua, ragazzi, non lo è, lo so per certo, vi ho sentiti parlare, vi ho visti in faccia, nessuno di voi è indiano, siete tutti un 16100, perché non dire un italianissimo “Grazie”?), e io finisco quella che mi è parsa un’ora di stretching in penombra.

Esco perplessa. Non sul centro, l’insegnante o il gruppo (a parte Donna Sbadiglio), loro vanno benissimo, sono belli, funzionano.
Sono perplessa sull’abbinamento yoga e me.
Dopo una serie di approfondimenti con chi ne sa, capisco che ci sono vari tipi di yoga – da quello sonnacchioso a quello dinamico, tutti con nomi impronunciabili – e che dovrei provare qualche volta in più, prima di rinunciare.

Non voglio rinunciare, e capisco di essere io il problema, è pieno di gente attorno a me grata allo yoga per millemila motivi, devo solo lasciarmi andare, fidarmi, insistere.
D’accordo, ma siccome il percorso di convincimento preferirei farlo a budget minimo, cerco su internet dei tutorial in italiano e mi imbatto nel sito della Scimmia Yoga. Curioso e questa Sara mi piace. Ha una bella voce, spiega bene, capisco tutte le volte che devo inspirare ed espirare, posso farlo da sola senza che nessuno sbadigli rumorosamente (so poco dello yoga, ma sono abbastanza certa che non dovrebbe ispirare istinti omicidi).

Scarico le lezioni per principianti e la mattina dopo apparecchio il tappeto con tutto ciò che serve: tappetino, telo di cotone, cuscino, rialzo di legno per la seduta da dilettanti imbranati che spavalda decido di non usare.

Si parte.
Seguo Sara e faccio tutto quello che dice, mentre Brodo mi cammina intorno, si intrufola sotto il telo, scava nel tappetino, si acciambella sul cuscino, passa sotto di me, sopra di me, di fianco a me e non sta fermo un attimo. Ma non sbadiglia.
Io sono concentrata e lo ignoro. Io seguo Sara, che è brava.
La lezione dura 46 minuti. Dopo 22 minuti e 14 secondi stoppo.
Non ce la faccio, sono già stremata, ho male ovunque.

Non mi arrendo, figurarsi. Faccio solo con calma. Arriverà il giorno in cui riuscirò a fare tutta la prima lezione con la disinvoltura di un gatto.

La mattina dopo ci riprovo. Stessa scena, stessa lezione. Sara è sempre brava, ma io, questa volta, decido di usare il rialzo di legno perché la volta scorsa, a fare la figa senza, non è andata benissimo. Me lo sistemo sotto il sedere, lo sposto inavvertitamente, si ribalta e il mio osso sacro va a sbattere contro il suo spigolo.
Le stelle. Tutte. L’intero firmamento.
Decido di ignorare il dolore e continuo. Per un minuto.
Poi ringrazio Sara, le prometto che ci riproverò presto e la spengo.

Se prima faticavo a stare seduta per terra a gambe incrociate, ora fatico anche a stare seduta su una poltrona.
Ma siccome dicono che lo yoga fa bene, ci riproverò.
Magari, prima, rinnovo la mia assicurazione infortuni.