Oggi si parte.
New York ci saluta con una pioggerellina sottile ma sempre un caldo innaturale per essere fine novembre. Eravamo partite timorose di patire un freddo siderale e ci siamo ritrovate col piumino e 20 gradi anche di sera. Per carità, nessuno si lamenta, ma quel maglioncino leggero di cotone che non ho voluto prendere deve aver fatto una telefonata ai Dii per ripicca.

Stamattina la grande ristrutturazione: il mio letto è tornato divano, la sala è tornata calpestabile, i sacchetti sparsi sono scomparsi.
Ho osservato a lungo Roberta accanirsi sul suo materassino per sgonfiarlo, delusa dal difettoso funzionamento della sua pompetta che, secondo lei, aveva anche l’opzione per sgonfiare. Ma no, l’unica era mettercisi sopra e tenere un cono sullo sfiato, in modo che l’aria uscisse meglio, emettendo un rantolo straziante. Curioso meccanismo per essere un materasso professionale da campeggio.
Francesca si è seduta accanto a Roberta per fare peso e insieme a quella situazione da naufraghe sul parquet con una zattera agonizzante, ho notato una ghiera attorno allo sfiato.
“Non è che va svitato questo?”
Un secondo dopo le mie due naufraghe erano sedute per terra su un sottile strato di plastica grigio, un tempo alto venti centimetri.

Lasciata Francesca alla sua vita di ricercatrice, abbiamo deciso che l’ultima colazione a New York poteva essere francese, quindi gustoso ritorno a Le pain quotidien e ora relax da Starbucks in attesa della partenza.

Tra poco dovremo affrontare cinque piani di scale con un centinaio di chili di bagagli, tra valigie, zaini e trolley. E lì sì che ci sarà da ridere, altro che materassini da stappare.

Take care!