Vista NerviVolevo alzarmi alle sette, stamattina, ma ho sbagliato a mettere la sveglia e solo una volta davanti all’ospedale mi sono accorta che erano le 6.45.

Stavo per maledirmi ma l’alba sul monte di Portofino, il mare sfacciatamente placido e i tre signori in attesa davanti all’entrata per fare, come me, il prelievo del sangue, mi hanno suggerito che forse poteva essere andata meglio così.
E infatti.

L’enorme albero di carrube che impone una rotonda naturale davanti al Pronto Soccorso ha dato il via alla chiacchiera e ai ricordi. Che quand’erano bambini le carrube se le mangiavano loro, mica solo i cavalli, e adesso le lascian per terra, un tempo le compravi sui banchetti, poi si vede che non andavan più bene, sono arrivate le merendine, ma la signora Vittoria si ricorda di quando sua mamma divideva un uovo tra i tre fratellini e ricorda la gioia di suo fratello il giorno in cui hanno avuto un intero uovo a testa, che forse si era più poveri ma in un modo diverso, forse lo si era più tutti, che oggi sei povero ma con l’iphone, è diverso, non ci vai più al Santuario della Guardia per avere la collana di nocciole, che ogni tanto ne rompevi una coi denti per mangiartela, ed era una ghiottoneria, eh, la collana di nocciole se la ricordan tutti, dovevi andare alla Guardia a piedi, e alcuni di loro ridacchiano perché conoscevano le scorciatoie per arrivare prima, che la guidovia se la potevan permettere solo in pochi, anche per quello era piccola, tanto mica portava tanta gente.

Eh, erano altri tempi, lo raccontano con affettuosa nostalgia, senza retorica, senza critica per il mondo d’oggi, solo ricordi, ma erano altri tempi, e se vedevi delle ortiche per la strada le raccoglievi e le cucinavi, e i pinoli per il pesto o il pesce te li andavi a prendere al parco, dalle pigne cadute a terra, mica li compravi già sgusciati e in sacchetti, e quello è anche un mio ricordo, mia nonna mi portava nei giardinetti di Brignole a cercare le pigne coi pinoli, mi sento un po’ una di loro con la Cerca del Pinolo a curriculum, ma voglio ascoltarli e loro raccontano.

Raccontano della camminate sugli scogli a piedi nudi, da Sturla a Boccadasse, per arrivare alla gelateria e chi arrivava ultimo doveva pagare il gelato, e mica era così scontato che tutti avessero i soldi per il gelato, e poi la roba non scadeva, che oggi scade tutto e la gente butta tutto via il giorno della scadenza, che poi è una sciocchezza, c’è anche scritto: preferibilmente c’è scritto, ma no, tutto via, nella spazzatura, pure sull’olio e sul miele c’è la scadenza, che l’olio viene usato per mantenere la verdura, adesso scade, e la gente, quando va nel negozio e vede che una cosa scade dopo pochi giorni, mica la prende, non la vuole, che se la cucini oggi o domani cosa ti cambia, no, non la vogliono però poi si fanno prendere in giro dai più furbi, come il besagnino lì sotto, che dice di coltivare lui tutta la frutta e verdura che vende e la gente corre a comprarla e la paga come dal gioielliere, ma loro lo vedono tutte le mattine al mercato, che aspetta la fine, cerca di non farsi vedere e va a prendere la roba che costa meno e più acciaccata, così sembra che sia più vera, sembra che l’abbia davvero coltivata lui, lui che va già bene se ha un orto di quattro metri quadrati, ma la gente vuole essere presa in giro, anche con tutto sto biologico, ma dove, che sopra la roba chimica ce la spruzzano lo stesso sennò le bestie si mangian tutto, e poi coltivano vicino alle autostrade o alle fabbriche, ma cosa vuoi che sia biologico, cosa vuol dire biologico, poi?

La guardia giurata ascolta e annuisce sorridendo e intanto vediamo arrivare un altro canuto signore e il mio gruppetto lo riconosce, lo saluta, ma lui ha il fiatone, che ha dovuto farsela a piedi che l’ascensore apre alle 7.30 ma dico io, c’è l’ospedale qui, cosa gli costa aprirla alle 6.30, che la gente anziana deve salire per fare gli esami e come dargli torto ma a me viene un dubbio e io sono arrivata fin qui con la macchina, c’erano i posti segnati in bianco e nessuna sbarra, l’ho lasciata in fondo, non potevo?, e la guardia giurata mi sorride e mi dice che in effetti non potevo, la sbarra la abbassano alle sette, quelli sono i posti per i dipendenti, ma di non preoccuparmi, finito il prelievo mi apre lui e intanto ci chiediamo quando si può entrare nella sala d’attesa e prendere i numerini, apre alle 7.10, ma siamo solo noi, si chiacchiera, si sta così bene, intanto si è aggiunta una ragazza che ascolta e sorride ma sta un po’ in disparte, io invece sono ormai una di loro.

Poi entriamo, che son quasi le 7.10 e la signora Vittoria vuole anche sedersi un po’, e nella saletta c’è un signore già seduto e noi restiamo un po’ lì e i numeri non ci sono ancora, li devono mettere, ma lui dichiara perentorio di essere il primo e no, noi eravamo qui da prima, ma non siete entrati, vabbé, non è una gara a chi tocca il muro, abbiamo rispettato l’orario, eravamo qui fuori, ci ha visti, non gli interessa, fatti nostri, lui ha aperto la porta, acceso la luce ed è il primo, ma i miei tre moschettieri non cedono e discutono, sempre con ironia, mai con rabbia, però senza cedere di un millimetro, come il signore, che insinua che stiamo dicendo baggianate, e no, dei bugiardi non lo siamo, che siamo tutti qui a dirgli che eravamo prima noi, e la signora Vittoria gli definisce la scaletta, lei è la prima, poi i due signori, poi ci sono io, poi il signore col fiatone, poi la ragazza e poi, semmai, lui che ha aperto la porta e acceso la luce, e ci alterniamo passandoci la parola l’un con l’altro, noi sereni e divertiti, lui per niente, ma alla fine uno dei nostri gli spiega pragmatico che “Guardi, è semplice: siamo tutti noi contro di lei, vinciamo per forza” e il signore bofonchia ma si capisce che lo sa di avere perso ma non sa come uscirne a testa alta, però quando arrivano i numeri prende il sesto biglietto senza fare storie e torniamo tutti amici, riprendendo il chiacchiericcio.

Stamattina è una mattinata particolare e alle sette e mezza la saletta è già tutta piena, con gente in piedi, di solito ce n’è così tanta, mi spiega uno della mia squadra, quello che va a comprare il riso in Piemonte e il farro in Toscana, e vabbé, aspettiamo.

Aspettiamo e finalmente arriva l’infermiera più burbera della storia, che cazzia tutti e ce l’ha a morte con le farmacie che vendono i contenitori per l’urina in barattoli anziché in fialette e ci manda a uno a uno in bagno a travasare il liquido nella sua fialetta d’ordinanza e noi in fila si va, che a quella si può solo ubbidire e farlo anche velocemente, che non ha pietà nemmeno per la lentezza imposta dall’età.
E di lato il CUP, che apre dopo, alle 8.15, e non ha ancora messo i numeri, ma l’addetto arriva, apre la porta, guarda tutti con fastidio e si chiude dentro. Poi esce nuovamente e una signora fa il fatale errore di chiedergli a che ora apre. Lui la guarda, poi guarda il cartello, indica l’orario e riguarda lei con l’evidente espressione da “Ce la puoi fare, forza” e a me vien da ridere ma mi trattengo, la signora resta interdetta e con spirito kamikaze, mentre lui riprende il suo cammino verso i fatti propri, gli dice “Non ci sono i numeri da prendere”. “Meglio” replica lui e se ne va, mentre io, a quel punto, rido.

Che poi, una volta entrata a fare il prelievo, dalle dottoresse all’infermiera più burbera del mondo, c’era un senso di accoglienza che ti faceva sentire a casa tra amici. E al CUP, poco dopo, col mio plico di richieste di esami da prenotare e in orario di apertura, il tipo caustico è stato strepitoso nel fissarmi tutto nell’arco di un paio di settimane, inframezzando complici battute su qualunque cosa gli passasse davanti allo schermo, che me, se la butti sull’ironia, mi trovi.

Insomma, alle nove ero fuori, la guardia giurata mi ha aperto la sbarra, ci siamo salutati tutti e sono riuscita a divertirmi anche in ospedale.
Forse devo uscire più spesso.