Quello che sto per raccontarvi avrà un effetto dirompente sul barlume di stima che potreste ancora avere di me.
Non cercherò nemmeno di giustificarmi, sono decenni che ci penso e ancora non ho trovato un’argomentazione valida in mia difesa.

Il supereroe del mio cuore è sempre stato Zorro (FERMI voi che state per dire che Zorro non è un supereroe ma un eroe, molto fermi e molto zitti!).
Amavo quel cavaliere vestito di nero, che sfrecciava sul suo cavallo, che combatteva i cattivi e lasciava zete ovunque con la sua fantastica spada. Aveva tutto per piacermi: senso della giustizia, una spada, un cavallo, un look da figo (era vestito di nero, capite?, di nero! Ed era uno dei buoni. Un IDOLO!).
Ero piccola, circa 4 o 5 anni, e lo amavo alla follia. Con quell’amore dei bambini, l’amore inglobante: io volevo essere lui. Io volevo vestirmi di nero, girare con una spada e combattere i cattivi. Fare una B invece di una Z era più complicato, ma non ci si ferma di fronte a queste piccolezze se si combatte l’ingiustizia.
Se fossi nata maschio mi avrebbero chiamata Diego, come Diego de la Vega, l’alias di Zorro. Un innegabile segno del destino.
Quando giocavo con gli amichetti tenevo una spada finta legata al fianco e a carnevale la nascondevo sotto i più tradizionali vestiti da fatina, da principessa, da spagnola. Perchè io, sotto sotto, ero Zorro.

Ad alimentare questa mia passione viscerale c’era mia madre.
Mia madre, che probabilmente si sorbiva per ore e ore le cassette con la storia di Zorro e i telefilm di Zorro e le insistenze per avere i vestiti neri come Zorro, mi aveva raccontato che Zorro viveva periodicamente anche in Italia e mi voleva molto bene, chiedeva spesso di me, si informava su come stavo e se ero stata buona, insomma lui, con tutto quello che aveva da fare nel mondo, mi considerava una bimba importante.
Una roba PAZZESCA.

Come accennato, veniva spesso in Italia. Aveva un castello a Firenze, dove mia madre mi portava almeno una volta all’anno, e poi aveva una dependance a Genova, per poter stare più vicino a me. C’è un pozzo in disuso, al Parco di Nervi, che in realtà era l’entrata segreta per la dependance genovese di Zorro. Io lo so. Sempre saputo.

In questa storia idilliaca c’era un solo, triste dettaglio.
Ogni volta che Zorro passava, io ero distratta e non arrivavo mai in tempo per vederlo. Ho trascorso l’infanzia a inseguire Zorro, delle corse col cuore in gola che non potete immaginare. Ero al Parco di Nervi a giocare, a dare le noci agli scoiattoli o a prendere le rane nello stagno e mia madre urlava Barbarabarbarabarbara vieni presto che c’è Zorro!!! e io veloce come il vento mi fiondavo lanciando per aria qualunque cosa avessi in mano e scapicollandomi da lei ma niente, era appena andato via. Però mi salutava TANTISSIMO.
E finchè ero al Parco di Nervi, la mia attenzione era bassa, perchè sapevo che quella era solo una dependance.
Era quando arrivava il momento di andare nel suo castello di Firenze che andavo in fibrillazione.
Arrivavo col cuore che batteva fortissimo e bussavo alla porta chiedendo di lui, ma sempre, SEMPRE, chi mi parlava, dopo aver avuto il cenno segreto da mia madre (noi che conosciamo il nascondiglio di Zorro conosciamo un cenno segreto per riconoscerci. Sapete, i cattivi lo cercano), mi spiegava che purtroppo Zorro era dovuto andare via. Una volta mi hanno persino detto che era a cena a casa di amici sulle colline fiorentine e mi hanno indicato una casa che si vedeva da lontano per farmi vedere dove fosse. Ma aveva telefonato per farmi sapere che mi salutava. TANTISSIMO, manco a dirlo.
Un complotto interregionale alle spalle di una bimba inerme.
Ricordo una volta, ero con mia madre sulle mura del suo castello, e per poco non l’ho visto, per giunta a cavallo. Era uscito dalla stalla e correva sul ponte levatoio. Mia mamma lo ha visto benissimo, come sempre, e lui le ha anche fatto un cenno di saluto, ma nonostante abbia urlato Barbarabarbarabarbara vieni presto c’è Zorro!!! e nonostante io sia corsa a rotta di collo lanciandomi tra i merli della torre per vederlo, lui aveva appena svoltato l’angolo.
Sempre di corsa, quell’uomo.

Ora, fin qui è tutta tenerezza.
I bambini poi crescono e scoprono in modo naturale e abbastanza indolore che Babbo Natale, la Befana, la Fata dei dentini, il Babau e altri non esistono. Eh.

Io ero cresciuta, ok, leggevo molti libri, studiavo al classico, insomma, mi stavo formando una dignitosa cultura e non credevo più alla storia di Zorro che chiedeva di me, che ogni volta non arrivavo in tempo a vedere, che spuntava da un pozzo arrugginito del Parco di Nervi. Ovvio.
Ma non avevo mai pensato che potesse essere falsa la sua leggenda (non lo penso nemmeno adesso).

Insomma, a 16 anni vado ad Agrigento per un convegno su Pirandello, un convegno di alcuni giorni con le migliori classi dei licei classici di tutta Italia e alcuni genitori accompagnatori, tra cui mia madre.
In quel marasma di adolescenti, ovviamente ne conosco uno che mi piace e quando un pomeriggio mi ritrovo a chiacchierare con lui, mentre stiamo cazzeggiando in gruppo in una delle stanze (cazzeggiare nel senso di suonare la chitarra, scrivere sui rispettivi diari, flirtare a distanza, bere birra, robe da ragazzini di quasi trent’anni fa) lui dice di essere di Firenze.
-Di Firenze? Ma dai! Dove c’è il Castello di Zorro!
E descrivo il Belvedere.
Lascio che vi immaginiate da soli la reazione di TUTTI i presenti in quella stanza.

Pochi minuti dopo una furia in lacrime è scesa strepitando MAMMAAAAAAAAA facendola uscire di corsa dall’aula convegni allarmatissima.
– Cos’è successo? Stai bene? Cosa c’è?
– NON MI HAI DETTO CHE ZORRO NON ESISTE.

Mi guarda cercando di capire se sto scherzando, ma no, si capisce che sono fuori di me.
E fa la cosa peggiore che potrebbe fare: scoppia a ridere e poi mi pugnala.
– Ma perchè, tu credevi davvero che esistesse?

Zorro è il mio supereroe. Perchè solo un supereroe può esistere contemporaneamente in California, a Firenze e nel pozzo di un parco genovese, andare più veloce dell’amore di una bambina ed essere protetto da tutti in tutto il mondo.
Zorro è il mio eroe, è il senso della giustizia, è il coraggio di combattere i cattivi, è la nobiltà d’animo, è l’eleganza in nero, è l’illusione che sopravvive, è l’idolo di una bambina.
Zorro è stato il mio gatto, con la sua perfetta mascherina nera disegnata sul muso bianco, con la sua sfacciataggine, il suo snobismo, la sua inettitudine a fare le fusa, la sua capacità di parare palline e accendersi la luce schiacciando l’interruttore con una zampa.
Zorro è il cappello e la maschera che mi aspettavano al matrimonio di Sara e Ale per farmi le foto.

A Zorro, in tutte le sue forme, è dedicato il mio ultimo libro.
Quello che uscirà tra una settimana.