• «Posso dire una cosa?»
    «Lo stai veramente chiedendo?»
    «Retorica d’allenamento.»

    Chanel non fa scarpette di cristallo

Come l’anno scorso e in concordata contemporaneità con Luca XXmiglia che nel salotto dei pinguini ha assegnato i Cazzetti Awards, ecco la classifica dei film visti nella stagione 2010/2011 ove per stagione si intende da settembre 2010 ad agosto 2011 e per film visti s’intendono anche quelli “fuori stagione” ma che ho visto (o rivisto) al cinema (questi li mettiamo in corsivo così non ci confondiamo, va bene?).

Considerato che la maggior parte dei film andiamo a vederla insieme (io, Luca, Carlo e Roberta, l’irriducibile GruppoCinema settimanale), ma anche che godiamo di una certa autonomia che scongiura una scaletta-fotocopia della nostra filmografia annuale, come spesso accade io e il XXmiglia siamo abbastanza in sintonia coi voti e con la predilezione per le sceneggiature (concordo sul Cazzetto D’Oro oltre che sui Pernacchia, Taricone e Ipnosi).

Se notate qualche titolo attivo (quelli in fuxia) è perchè vi spedisce dritti ai post dedicati nell’arco della stagione e se notate che i film a cui ho dato i voti più alti sono quelli di animazione o fantasy o supereroi sappiate che l’ho notato anche io dopo aver definito la classifica e sto cercando di giustificarmi intellettualmente con scarsi risultati (ehi! Magari non ne ho visti, di intellettualmente accettabili altrettanto validi! Potrebbe anche non essere colpa mia e ok, “Il discorso del re” stava per avere un 4 ma poi mi sono resa conto che faticavo persino a ricordarmelo quindi l’ho lasciato su 3,5 che comunque è un voto di tutto rispetto). E comunque “The Social Network” è il mio preferito (tra quelli visti) dell’anno scorso e non mi scalfiscono le puntigliose critiche di quelli che sì però gnegnegnè.

E ora via con la Fioriofilmografia:

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Ho dimenticato di chiedervi se siete già andati a vedere Carnage e This must be the place.
Se sì, bravi ragazzi, sono fiera di voi.
Se no, tch tch tch, vediamo di rimediare al più presto, ok?

 

Ci sono solo due motivi per andare al cinema a vedere Cars 2:
1) il corto della Pixar su Toy Story
2) i primi cinque minuti di film con FinnMcMissile

Per il resto grande noia e tanta, tanta voglia di sciogliere Cricchetto nell’acido fosforico (non guardatemi così: è un ottimo antiruggine…)

Mi sono messa in pari con la massa: ho visto il katanoto film e nonostante sia piaciuto a un mucchio di persone, mi sono imposta di non avere pregiudizi e di concedergli la chance di piacermi comunque.

(versione diplomatica)
Bello, eh. Aaahh, davvero bello. Profondo, intenso, emozionante. Ti apre la mente a nuove prospettive. Trasmette un messaggio di fondamentale importanza.

(versione sincera)
Bello, se piacciono le spremute di retorica con contorno di cliché, dejavu e stereotipi.
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Sarà che i prequel mi intrigano, sarà che le cose fumettose della Marvel alla fine mi piacciono sempre, sarà che il cameo di Wolverine è strepitoso, sarà che Magneto mi ha ufficilmente fatto passare al Lato Oscuro (ma lo seguirei anche in posti meno affascinanti), a me X-Men First Class è piaciuto un sacco.

Nonostante Charles Xavier assomigli a Muccino, sia pedante e paternalista e stilli retorica ogni tre parole; nonostante gli “amico mio” non vengano risparmiati; nonostante la gestualità infantile da “giochiamo a fare i supereroi”; nonostante le battutone goffoepiche. Già, nonostante ciò.

Che mi sono perdutamente innamorata di Magneto l’ho già detto?

Seriamente, io penso che tutti dovrebbero conoscere Davide Enia.
Credo che lui sia un dono degli Dei (quelli che volete, a ognuno il suo, lui comunque è un dono che viene da quelle parti).

Davide Enia è un drammaturgo, un cantastorie, uno scrittore e molte altre cose.
Quando lui racconta -a teatro, alla radio, sulle pagine di un libro- fa magia come Rembò faceva col pallone.
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Machete è un film tamarro, volutamente tamarro, strepitosamente tamarro.
Al momento della stesura di sceneggiatura e regia dev’essere andata più o meno così.

(Sala riunioni, entra Rodriguez)
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Tranquilli, non mi lancerò in un improvvido parallelismo letteral-culturale tra Beckett e Kick-Ass, sono io l’unico delirante collegamento tra un mostro sacro del teatro contemporaneo e il film nelle sale italiane in questi giorni, in ritardo di oltre un anno.

Martedì sera sono andata a vedere Finale di partita e nonostante l’innegabile bravura degli attori (Vittorio Franceschi in primis) e l’accuratezza del regista, lo confesso (e ora qualcuno sverrà dallo shock mentre altri si strapperanno i capelli indignati dalla mia bestemmia), mi sono chiesta se abbia senso, oggi, mettere in scena Beckett.
Secondo me, no.
Sì, d’accordo, è stato un rivoluzionario del teatro, ha sperimentato, provocato, modificato, inventato. Tutto vero. E sicuramente Beckett, per gli esperti e studiosi del settore è e resterà sempre un pilastro, sacrosanto, ma -seriamente- al pubblico ha ancora senso propinare il metateatro beckettiano, il suo teatro dell’assurdo, il nichilismo del testo, la rappresentazione del vuoto e via dicendo? A un pubblico che non deve passare un esame in Storia del Teatro Contemporaneo, dico.
Non è che non l’ho capito, è che lo avrei apprezzato di più nella teoria, se lo avessi letto piuttosto che se fossi stata inchiodata quasi due ore a una poltrona a seguire la partita di scacchi con la vita di due solitudini in vestaglia che ogni giorno recitano lo stesso copione.
Ma ormai siamo al mondo, non c’è rimedio.

Detto ciò, lavorando di pura fantasia, ho deciso che Beckett si divertiva un sacco a fare esperimenti su di noi, la quarta parete, e che se ci avesse visti l’altra sera, in religioso silenzio, accennare col capo un ossequioso rispetto per il genio e sentirsi tutti un po’ più colti e intellettuali per “aver visto Beckett“, avrebbe riso molto.

Voto finale: alto, ma per addetti ai lavori.

E veniamo a Kick-Ass, la mia compensazione anticulturale di ieri sera.
Lo dico subito: io mi sono divertita parecchio.
Da lì a osannarlo come il film dell’anno passa qualche pellicola, ma bravissimi attori, compresi i baffi di Nicholas Cage, splendida colonna sonora, bel ritmo, belle scene e poi, per chi ama lo splatter come me, lo spappolamento costante di cattivi è di una goduria infinita (il microonde per mafiosi è un elettrodomestico che forse Zorro non approverebbe, ma la soddisfazione è esaltante).

Voto finale: spassoso, ma per amanti dello splatter, dei fumetti e dei supereroi.

Alla fine dei conti, secondo me a Beckett sarebbe piaciuto Kick-Ass.

Aprile è arrivato con un carico di fame costante, sonno letargico, voglia di leggere, voglia di scrivere e bisogno di teatro.
Così, dopo mesi di apatia culturale in cui ho giusto spiluccato qualche film, ma niente di più, ho ripreso a divorare libri e a recuperare gli ultimi scampoli di stagioni teatrali. Ultimi in senso solo cronologico, perchè ciò che ho visto ha avuto il potere di farmi pensare “Accidenti, chissà cos’altro mi sono persa in tutto questo tempo lontana dalla platea, testa di nocciola che sono!”.

Martedì scorso è stato bello rivedere Nemico di classe di Nigel Wiliams, stavolta con la regia di Massimo Chiesa (bravò!) e con giovani e bravissimi attori in una versione che non ha fatto rimpiangere la storica e indimenticabile versione di Elio de Capitani.

Mentre ieri è stato profondamente emozionante vedere La donna che sbatteva nelle porte di Roddy Doyle, con Marina Massironi e la regia di Giorgio Gallione.

Paula Spencer era una ragazza alta 1.67, coi capelli rossi, considerata di facili costumi e che sapeva di essere stupida ma non se ne curava perchè aveva tutta la vita davanti.  Paula Spencer, ora, è una donna di 39 anni, alta 1.64 perchè la vita l’ha abbassata, coi capelli rossi grazie alla tinta, sposata con Charlo, madre di 4 figli, alcolizzata e che non pensa più di essere poi tanto stupida.

Paula è passata dal riso leggero dell’adolescenza alla scoperta spensierata e quasi incidentale del sesso, dal capire fin dal primo giorno di istituto tecnico di non essere portata per gli studi a innamorarsi di Charlo Spencer perchè l’ha rispettata la sera del loro primo appuntamento.
Quella briciola di rispetto è bastata perchè lei gli consegnasse ogni diritto di vita e di morte, finchè questa non li avesse separati. Quella briciola di rispetto che lui le aveva dato e che la gente le dava da quando lui faceva parte della sua vita.
Perchè Paula, tutto sommato, non ha mai pensato di valere più di tanto. E quando il primo pugno l’ha attesa in cucina, scaraventandola per terra e facendole perdere il figlio che portava in grembo, lei ha nascosto i lividi, il dolore, la paura e la povertà, ha dichiarato di aver sbattuto contro una porta e ha continuato a farlo per diciassette anni, lasciando che quel marito violento la uccidesse quasi tutta.

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Qualche pomeriggio fa, mentre il Giappone veniva ghermito dai peggiori cataclismi, ho deciso che era arrivato il momento di guardare Il mio vicino Totoro, che Luca mi ha regalato mesi fa e che io tenevo da parte per “il momento giusto”.

Quello che mi ha sempre incantata nei film animati giapponesi è la naturalezza con cui tutti i personaggi, dai bimbi agli adulti, prendono il sovrannaturale.
E’ come se facesse talmente parte di loro, del mondo in cui vivono, della loro vita e dei loro credo, che riescono a riservare la giusta meraviglia intesa come gioia di trovarcisi di fronte, ma mai stupore o incredulità.
Esistono loro esattamente come esistono gli spiritelli della fuliggine, un albero di canfora immenso e fatato, un gattobus, un Totoro che vive lì a fianco e che fa magie, coniglietti invisibili, ghiande misteriose e via dicendo.

E’ il mondo del Perché no? e siccome Perché no? è il perfetto riassunto del mio approccio al trascendente, ho battuto le mani ridendo quando ho finalmente scoperto i nerini del buio o corri fuliggine, gli spiritelli della fuliggine che vivono nelle case disabitate e che solo i bambini possono vedere, ho esplorato i cunicoli delle fronde dell’albero di canfora, mi sono acciambellata sulla pancia pelosa di Totoro, ho ballato con lui sotto la luna piena, sono andata in giro per la campagna a bordo del gattobus e già che c’ero ho mangiato giapponese.

Finalmente ho capito perché quando parli di quel film, alle persone spuntano uno sguardo e un sorriso dolce e la dichiarazione tipica è “Il mondo è un posto migliore con Il mio vicino Totoro”.
E’ di una delicatezza infinita e ti riporta un pezzo dell’anima bambina.