Ci sono svariati buoni motivi per andare a Parigi, quello di adesso è la mostra su Tim Burton alla Cinémathèque Française dove io, l’altro ieri, esclamavo gioia e stupore come neanche un bambino.
A vedere i disegni di Tim Burton si può pensare che abbia avuto un’infanzia difficile mentre è vero l’esatto opposto: è stata talmente normale, con una famiglia talmente normale, in una cittadina talmente normale che o diventava un benzinaio, o un serial killer o Tim Burton.
I Dii hanno voluto farci un regalo e hanno scelto la terza opzione.
La sua fascinazione per le creature strane e diverse dagli altri senza la consapevolezza di esserlo, il suo divertito gusto per il macabro e la sua essenziale allegria sono gli ingredienti che rendono inarrivabile la sua fantasia.
La sua straordinaria e multiforme arte dell’orrore buffo, con un cinismo delizioso e mai annichilente, il gioco della morte, dello splatter, dello stupore e della normalità nell’assurdo hanno dato vita a personaggi meravigliosi e a film capolavori, uno su tutti: Big Fish.
Se c’era uno che poteva superare con un film la bellezza di un libro era Tim Burton, e lo ha fatto con Big Fish, quanto di più poetico, dolce e commovente io abbia visto sul grande schermo (speravo facesse qualcosa di simile con Alice, che quando ho saputo dell’abbinamento Burton-Alice ho pensato che il mondo avesse raggiunto la forma più simile di perfezione, ma poi ho visto il film e ho portato il lutto per mesi, colta da insanabile dolore).
Soddisfatte di aver dormito BEN fino alle sette, abbiamo ritenuto che essendo domenica potevamo fare le pigre e andare a fare colazione addirittura alle nove. Stavolta a Le pain quotidien, che mancava all’appello.
Poi a Ground Zero (con lunghissima tappa al Century 21, un outlet dove ho pagato un bellissimo paio di Ray Ban 70 dollari) e finalmente Soho, il quartiere south Hudson con aria alternativa dove si trovano alcuni franchising ma soprattutto negozi più particolari, come The Yellow Rat Bastard, negozio pullulante di cose buffe vagamente dark.
Non abbiamo fatto molto le turiste. Ci siamo aggirate placide fino a metà pomeriggio, divorando per merenda 12 mini cup cakes Baked by Melissa, una piccola pasticceria che si è specializzata in questi dolcetti in versione dannatamente minuscola e di una bontà dannatamente paradisiaca. Per dare un’idea: volevamo portarle a casa ma tra la prima e la seconda fermata di metropolitana le avevamo già finite.
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