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Qualche pomeriggio fa, mentre il Giappone veniva ghermito dai peggiori cataclismi, ho deciso che era arrivato il momento di guardare Il mio vicino Totoro, che Luca mi ha regalato mesi fa e che io tenevo da parte per “il momento giusto”.

Quello che mi ha sempre incantata nei film animati giapponesi è la naturalezza con cui tutti i personaggi, dai bimbi agli adulti, prendono il sovrannaturale.
E’ come se facesse talmente parte di loro, del mondo in cui vivono, della loro vita e dei loro credo, che riescono a riservare la giusta meraviglia intesa come gioia di trovarcisi di fronte, ma mai stupore o incredulità.
Esistono loro esattamente come esistono gli spiritelli della fuliggine, un albero di canfora immenso e fatato, un gattobus, un Totoro che vive lì a fianco e che fa magie, coniglietti invisibili, ghiande misteriose e via dicendo.

E’ il mondo del Perché no? e siccome Perché no? è il perfetto riassunto del mio approccio al trascendente, ho battuto le mani ridendo quando ho finalmente scoperto i nerini del buio o corri fuliggine, gli spiritelli della fuliggine che vivono nelle case disabitate e che solo i bambini possono vedere, ho esplorato i cunicoli delle fronde dell’albero di canfora, mi sono acciambellata sulla pancia pelosa di Totoro, ho ballato con lui sotto la luna piena, sono andata in giro per la campagna a bordo del gattobus e già che c’ero ho mangiato giapponese.

Finalmente ho capito perché quando parli di quel film, alle persone spuntano uno sguardo e un sorriso dolce e la dichiarazione tipica è “Il mondo è un posto migliore con Il mio vicino Totoro”.
E’ di una delicatezza infinita e ti riporta un pezzo dell’anima bambina.

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