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Mi sono messa in pari con la massa: ho visto il katanoto film e nonostante sia piaciuto a un mucchio di persone, mi sono imposta di non avere pregiudizi e di concedergli la chance di piacermi comunque.

(versione diplomatica)
Bello, eh. Aaahh, davvero bello. Profondo, intenso, emozionante. Ti apre la mente a nuove prospettive. Trasmette un messaggio di fondamentale importanza.

(versione sincera)
Bello, se piacciono le spremute di retorica con contorno di cliché, dejavu e stereotipi.

La protagonista, prevedibilmente annoiata da un affascinante marito che la ama, da una casa bellissima e da una vita da sogno nella quale fa il lavoro che le piace, riapre la scatola degli appunti di viaggi mai fatti, fa due chiacchiere col proprio ego, lo traduce in maiuscolo lapidario e decide di essere l'ombelico del proprio mondo perchè nella vita l'importante è sempre essere se stessi con l'alibi di cercarsi per capirsi (adoro quando il non avere niente da fare e alcun problema vero rendono le anime così candide e lievi).

Per festeggiare si fa ribaltare gioiosamente da un giovane attore, passeggia per un po' nella rassicurante spirale delle coppie che si annientano a vicenda e finalmente raggiunge il nichilismo necessario per spezzare anche quel cuore e fare le valigie.

L'incontro casuale con un dizionario di italiano le fa scegliere Roma come prima tappa, dove riesce a trovare un agghiacciante appartamento con impalcature interne, senza corrente elettrica e senza acqua calda, gestito da una siciliana semi-incomprensibile. Di cercarne un altro neanche a parlarne, impossibile trovarne uno peggiore e rinunciare a fare la bohèmienne.

Attraverso i suoi occhi e una originalissima regia vediamo come i popoli latini (nel caso specifico italiani e brasiliani) o quelli considerati meno evoluti, siano subdolamente esaltati nel loro essere grezzi ma tanto veri, cafoni ma tanto diretti, negletti ma tanto naif, patetici ma tanto intensi, viscerali ma tanto capaci di vivere la vita. E mentre una carrellata di luoghi comuni raggiunge l’apice sulla rozza e bifolca gestualità italiana, l'indianina con gli occhiali e con desideri di emancipazione -costretta, a diciassette anni, a sposare un ragazzino sconosciuto- rappresenta l'ineluttabilità delle tradizioni e delle culture che comunque vanno rispettate (e se avete la sensazione che quel comunque sia pregno di arrogante indulgenza, non siete i soli).

Confesso di aver giusto apprezzato la guru indiana, che nessuno vede mai, esemplare esperta di marketing, che si fa pulire l'ashram da viziati occidentali in cerca della luce mentre lei si gode placidamente il proprio superattico a Manhattan, lasciando a disposizione dei fedeli adepti la "grotta della meditazione" semiarredata e con aria condizionata. Perché ci pensa, ai suoi principali sostenitori. E qualunque percorso spirituale desiderino intraprendere, possono acquistarne il pratico kit nello shop dell'ashram, compreso un badge plastificato e spillettamunito a indicare la scelta del silenzio. Sacrosanto.

Immancabile il bello che conclude il trittico, dopo mangia e prega. Un po’ scompigliato, con quel retrogusto di spleen che troviamo sempre irresistibile, sex symbol ma non patinato, l’uomo piange in continuazione per dimostrare al pubblico di avere un lato sentimentale e fragile e il fatto che a noi donne, quel lato, piace.
Ci piace, lo confermo, ma al terzo piagnisteo cerchiamo qualcuno che non ci faccia essere il cromosoma Y della coppia. Se, tant'è, ce lo prendiamo, forse è perché siamo in astinenza da oltre un anno e siamo a tre continenti di distanza dal nostro. E perché il film deve finire.

Però dicono che il libro, invece, sia bello. Offro gratis il beneficio del dubbio ma per ora leggo altro.
Non prima di aver inviato a tutti voi Luce e Amore. Universale, s'intende.

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