La spensieratezza degli anni in cui tutto è possibile, in cui si rincorrono i sogni tra una festa e un caffè, l’allegria, i colori, quello spirito un po’ sciocco e un po’ buffo che gioca con la vita ancora tutta da inventare, ed è musica allegra, pop e zuccherosa, con le scarpe da ginnastica sui cofani delle auto, tra gli abiti sgargianti delle amiche e la ricerca di qualcuno da cui farsi notare.

Poi l’amore, e quel senso di onnipotenza che fa sembrare tutto possibile, sogni più vicini, progetti concreti accompagnati da note più profonde, intime e intense, ancora allegre, piene di una gioia densa, la sensazione di non essere più soli e sentirsi forti per questo. E si balla, e si vola.

Poi gli intoppi, la paura di deludere, chi svende il proprio sogno per una musica di chincaglieria, chi assiste alla resa, chi si inebria di un successo facile, chi cerca di salvare il sogno dell’altro. E le incomprensioni, la lontananza, la fatica, le delusioni, le umiliazioni, i fallimenti e la musica si spegne in una nuova solitudine, in un’amputazione, nella rinuncia.

Infine resta una canzone, quella canzone, a ricordare un destino mancato, a ricordare un Persempre abbandonato, che poteva essere, era possibile ed era un lieto fine, ma che si è lasciato rotolare via tra pause troppo lunghe.
E i sogni che comunque possono avverarsi, anche con altri finali, e il destino che cambia, che può essere diverso perché fatto di scelte e di coraggio, di perseveranza, mai di stelle senzienti, che non è mai scritto perché dipende dai suoi autori e se loro smettono di scriverlo, se rinunciano, ne creeranno un altro.
Però non sarà quello che avrebbero potuto avere. Sarà quello che hanno. Che avranno. Che scelgono o che non scelgono.

Un ultimo sguardo, un sorriso, titoli di coda.