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matita rossa e bluScegliere tra 80 racconti, per quanto brevi, non è stata un’impresa semplice.
E visto che si tratta di un Gruppo di Supporto Scrittori Pigri, ci è parso giusto, ma soprattutto utile, spiegare quali sono stati i nostri criteri di selezione.

Ci siamo concentrati su tre parametri: lo stile, il genere, la struttura.
Questo ci ha permesso di scartare circa una sessantina di racconti che, per quanto potessero piacere, emozionare, divertire, non rispettavano questi criteri.

STILE
In primo luogo, dovevano essere scritti bene, dal punto di vista grammaticale e sintattico, e dovevano avere una voce.
La voce è quella cosa che rende un autore immediatamente riconoscibile: se sentite una canzone di Vasco o di Ligabue, capite immediatamente chi sta cantando. Succede anche nella scrittura: in un testo, anche breve, si può cogliere la personalità, la caratteristica forte, dell’autore. Il quid. Insomma, per dirla in gergo televisivo, l’x-factor.
Il che, attenzione, non significa essere originali a tutti i costi, fino quasi a diventare incomprensibili.
Gli editor e gli agenti letterari sono specializzati nel cogliere le voci degli autori.

GENERE
Dovevano essere testi narrativamente chiari, che avessero un inizio, uno sviluppo e una fine, più o meno aperti. Testi conclusi in sé, pur nello spazio di duemila battute.
Insomma, dovevano essere dei racconti. Magari anche in forma di dialogo o di lettera, ma comunque si dovevano configurare come racconti e non come pagine di diario, riflessioni astratte, visioni oniriche, testi con solo una forte componente lirica, enigmatici, privi di finale, eccetera.
E abbiamo preferito quelli che non fossero troppo prevedibili, che non avessero cliché narrativi, che facessero vedere l’immagine, più che spiegarla.

STRUTTURA
Dovevano essere coerenti dal punto di vista strutturale e mantenere una coerenza anche nel linguaggio dei personaggi e rispetto all’ambientazione scelta. Per esempio, una parola moderna o addirittura gergale usata in un testo tipicamente fiabesco, stride, a meno che non sia strumentale, ossia voluta per un preciso motivo, che però dev’esser chiaro.
Inoltre, i racconti scelti non dovevano infrangere il patto con il lettore.
Per esempio, se il protagonista alla fine del racconto muore, non può essere anche il narratore in prima persona. O meglio, potrebbe esserlo, ma se lo fosse, vista l’eccezionalità della situazione, dovrebbe essere dichiarato fin dall’inizio, per rispettare il patto con il lettore. Nessuno vi vieta di far parlare un morto, ma se scegliete di farlo, dovete dare una logica e una forza a questa scelta fin dall’inizio, dicendo, per esempio: “Mi chiamo Federico e sono appena morto”. Una cosa simile, se vi interessa, accade nel film American Beauty.

Ecco come abbiamo selezionato i dieci racconti finalisti.
Ovviamente, non erano gli unici a soddisfare tali criteri, però abbiamo cercato di scegliere quelli più appassionanti, che sapevano tenere viva l’attenzione del lettore.
In sostanza, ai tre parametri indicati, abbiamo, alla fine, aggiunto quello della soggettività.
E' un elemento con cui bisogna fare i conti quando si scrive, anche per limitare il giudizio altrui: esiste il gusto personale. Non è sufficiente per definire un testo “buono”, né può essere il criterio prioritario, ma va sempre tenuto in considerazione.

Per cui, presi i racconti che rispettavano i criteri definiti, abbiamo scelto i testi che ci piacevano di più. E così hanno fatto anche gli altri giurati, che hanno espresso le loro preferenze tra la decina di finalisti.
Questa è una cosa molto importante: vi troverete sempre di fronte a un lettore che reagisce ai vostri testi sulla base del proprio gusto. Non potete piacere a tutti, nemmeno nel campo degli addetti ai lavori. L’importante è arrivare a scoprire la vostra voce, a rispettare le caratteristiche del genere in cui decidere di scrivere e a costruire strutture coerenti e compatte.
Se fate questo, magari non arriverete primi questa volta, ma la prossima sì.

 

Ed ecco una brevissima analisi dei dieci finalisti della Giuria di Qualità.
Rispondono a tutti e tre i criteri di stile, genere e struttura, e ci piacciono molto.

A spiccare soprattutto per lo stile sono stati:
Francesco Laviano con Questa è la storia di inventore e dice così
La voce è forte e immediatamente riconoscibile, in particolare fa pensare ad autori come Nori, Cavazzoni, Celati.
Fioly Bocca con Ma resiste la dolcezza
L’autrice riesce a creare, attraverso una prosa poetica per nulla scontata e con immagini dense - i papaveri bianchi, i tulipani viola- una storia e una visione molto delicate.
Elena Contenta Patacchini con Ciao Dio
In questo caso, l’autrice utilizza un registro assolutamente moderno in un dialogo con Dio, che si esprime come un giovane di oggi. Oltre a essere una scelta stilistica forte, ciò genera un effetto straniante e quindi comico.

A spiccare soprattutto per il genere sono stati:
Andrea Fabiani con Incontro
Un incontro che in realtà non lo è e non lo sarà mai.- Perché attorno a un’occasione mancata, l’autore costruisce una scena nitida in cui immediatamente tutti ci possiamo riconoscere.
Giovanni Monti con Nero di seppia
Qui l’autore utilizza quel finale sospeso che, secondo Todorov, è caratteristico del racconto fantastico. E lo fa con una buona abilità narrativa e con un bel senso del ritmo.
Mauro Traverso con Il rigore più leggero del mondo
L’autore fa impattare il racconto con il genere epistolare, aprendo -in poche battute- lo sguardo su un mondo intero, quello della famiglia e delle sue relazioni.

A spiccare soprattutto per la struttura sono stati:
Comesenonbastasse con Le scarpe
La struttura è estremamente coerente e compatta, perché l’occasione narrativa nasce dal contrasto tra il carattere del personaggio e il suo nome. Il racconto si conclude con il superamento del contrasto, facendo intravedere un piccolo arco di trasformazione della protagonista.
Laura Caslini con Toffolette
L’autrice ha reso, con ritmo e abilità, il dialogo di una coppia, creando il loro idioletto, il loro linguaggio, con un elemento assolutamente non scontato, legato al mondo dell’infanzia e del gioco. Trasformando quella che per Proust era la madeleine in un marsh-mallow.
Sabrina Moretti con Non ti lasciano neanche morire
A partire da un intoppo burocratico, e quindi da un momento in sé banale, l’autrice, senza mai nominarlo, mette in scena tutto il dolore e l’annichilimento di chi subisce un lutto. Non solo: mette in scena anche, attraverso il linguaggio, quella forma di pensiero ai limite del razionale che arriva a dominare chiunque nel momento della sofferenza.
Mariella Ferrando Pacchioli con 27 gennaio 1945
Qui il protagonista muore alla fine e al contempo è il narratore in prima persona. Ma la coerenza di tale scelta viene garantita dalla soglia del testo: il titolo. Quel 27 gennaio 1945, infatti, ci trascina immediatamente sulla scena di una tragedia storica che nessuno di noi può ignorare, facendoci capire che l’intenzione dell’autrice è quella di dar voce a chi, la voce, non ce l’ha più e non l’ha potuta avere.

 

Potete leggere questi e tutti gli altri racconti sulle note del profilo facebook Gssp Scrittori Pigri.

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