Biancaneve era tanarda. Questo mi è stato chiaro subito. Ma tanarda proprio. Carina, ma tanarda.
Ogni volta, ogni santissima volta che la strega le offriva la mela avvelenata, lei la prendeva e la mordeva. Ora, capisco la prima volta, sei ingenua, ti fidi, pare maleducato rifiutare un dono, ci sta. Ma poi basta.
E non è che non glielo dicessi. Glielo urlavo proprio. Ma lei niente, tanarda e pure sorda.
Me lo ricordo, il cinema Odeon di corso Buenos Aires, con le sue poltrone rosse e il tetto che alla fine del film si apriva per far andare via il fumo di quelli che senza sigaretta per un paio d’ore proprio non ci stavano. Quel soffitto magico si spalancava mentre noi uscivamo, mostrando il giorno lì fuori.
Comunque, dicevo. Biancaneve.
Io ero lì, seduta, con le mie gambette che non toccavano il pavimento, e seguivo sul grande schermo la vicenda. Lei che cantava vicino al pozzo, la matrigna invidiosa, il cacciatore, gli animaletti del bosco, la casetta dei sette nani, i sette nani, e-oh e-oh andiamo a lavorar, lo specchio magico, la trasformazione della matrigna in strega, la mela rossa e quella mano artigliata che la offriva alla tanarda. E la tanarda che la prendeva. Ogni. Santissima. Volta.
Quindi io, spinta dal desiderio ma diciamo pure dall’irrefrenabile bisogno di salvarla, saltavo giù dalla poltrona urlando «Non prenderla, Biancaneve! Non mangiare la mela!» e correvo fin sotto lo schermo spompandomi i polmoni per farmi sentire fin nel bosco.
E per sentirmi mi sentivano. Tutti. Tutti tranne quella tanardissima che nel frattempo, ignorandomi, prendeva la mela, la mordeva e cadeva a terra morta.
«Noooooooooooo» gridavo piena di disperazione e rabbia. Perché, l’ho detto, una volta va bene, ci caschi, lo capisco, ma poi basta, poi sei proprio stupida. E sorda.
E intanto «Silenzio!», «Faccia star buona sua figlia, signora!», «Fate uscire quella bambina», mentre dalla platea si sentivano altri bimbi singhiozzare «Mamma, perché Biancaneve non ha ascoltato quella bimba? Adesso è morta.»
Eh, appunto!
E venivo trascinata via piangente e urlante.
Dalla mamma, dalla nonna, dalla zia. L’aneddotica familiare vede diversi adulti tentare di portarmi a vedere Biancaneve al cinema, ma uscire prima della fine del film con me trasportata fuori a forza, incazzata nera.
La parte dal morso della mela in poi io l’ho vista qualche anno dopo, a casa. Ma ormai me ne ero fatta una ragione, della tanardaggine di quella sciacquetta.

Come Biancaneve, non sono riuscita a salvare neanche la Sirenetta. Che quando ero piccola mica c’era ancora il film della Disney che la fa sposare con il suo principe, no. Quando ero piccola c’era solo la versione originale. Quella di Andersen. Che la faceva morire male. E più me la leggevano, più avrei voluto entrare nella fiaba a forza – ero una bambina piuttosto irruenta, tutta ossa, nervi e occhioni – e palesarmi nella grotta dove quella sciocca si sdilinquiva per un busto di alabastro.
«Toc toc» avrei fatto, bussando con le nocche sulla scultura del principe, guardando fissa la ragazza. «Lo vedi che è finto? È un principe di pietra! Di. Pietra. Vai a giocare tra le alghe con gli amici paguri, dai!»
Che io, quel principe lì, lo odiavo. Lo odiavo tantissimo perché non si era innamorato della Sirenetta mentre lei, amandolo, era morta per lui.
E se mi fosse andata male nella grotta, avrei provato a distrarla con qualche gioco mentre lui naufragava con la sua nave (mi sarebbe piaciuto un sacco impedirle di salvarlo) e, se ancora non ci fossi riuscita, l’avrei convinta a eseguire gli ordini della strega del mare e pugnalarlo nel sonno alla sua prima notte di nozze con un’altra. Perché quello si era sposato un’altra. Maledetto.
La rabbia. Ma la rabbia! E invece la Sirenetta era buona, stupida e gnucca. E infatti moriva.

Come si fa a crescere con questi esempi, dico io. Sarebbe stato così bello se una bambina di pochi anni fosse entrata nelle fiabe per salvare in tempo quelle stupidotte.

Come la Bella Addormentata. Uh, la Bella Addormentata! Una sola cosa le avevano chiesto: non toccare un fuso. Nessun fuso, niente eccezioni. Se vedi un fuso, cambia strada. Una regola facile facile. Tu sei una principessa, bellissima, col tuo castello, due genitori amorevoli, vestita bene, con delle fate come madrine, amata da tutti e un compito solo, neanche difficile. Goditela, no? No. Lei vede una vecchia che fila col fuso e cosa fa? Lo tocca. ‘Sta scema.
Che uno dice, vabbè, cavoli tuoi, dormi lì e noi andiamo avanti con la nostra vita. Ma no. Lei trascina nella sua idiozia un intero castello. Tutta la gente che viveva e lavorava lì si addormenta per cent’anni.
Che io ho sempre pensato: ma se avevano le famiglie fuori? Pensavo ai bambini che non avrebbero visto rientrare il papà o la mamma, quella sera, perché una sedicenne aveva toccato un fuso e li aveva addormentati tutti per un secolo. Una rabbia!
Niente, non ho salvato neanche lei.
Frustrante, terribilmente frustrante.

Per fortuna c’era Cenerentola. Lei mi dava sempre tanta soddisfazione. Che va bene essere buone e gentili, avevo capito che era importante, ma Cenerentola sa cogliere le opportunità. È una che si dà da fare, una ragazza pratica, sveglia, determinata. Cenerentola la mela non l’avrebbe mangiata, l’avrebbe messa nella macedonia delle sorellastre. Non sarebbe morta per un principe che non la amava, era sopravvissuta a quelle tre megere lavando pavimenti e dormendo tra la cenere, figurarsi se perdeva tempo ad amare un soprammobile da spolverare, lei il principe se lo è andato a prendere direttamente al castello. E se avesse visto un fuso sapendo di non doverlo toccare, be’, potete credermi: non lo avrebbe toccato.
Sappiamo benissimo che ha sposato un blasonato così beota per liberarsi di una famiglia tossica e di un lavoro da sguattera. Lei è quella che ce la fa, con tutta la consapevolezza del creato, che io me la immagino pensare: lui non mi riconosce finché non mi metto una scarpa anche se abbiamo ballato per tre sere di fila e manco mi ha chiesto come mi chiamo? Bene, non stiamone a fare questioni di principio o di orgoglio, mi metto la scarpa e bona lè.

Poi sono cresciuta. E sono stata Biancaneve, la Bella Addormentata e soprattutto la Sirenetta. Finché non mi sono ricordata che era Cenerentola, quella furba.
Se oggi dovessi avere il potere di entrare nelle fiabe e salvare qualcuno, be’…

 

Continua sulla raccolta “Salvataggi” per la Fondazione Pangea Onlus il cui intero ricavato va a sostegno delle attività di Pangea per l’Afghanistan.