Ad ogni edizione del Gruppo di Supporto Scrittori Pigri, tra le tante cose che gli faccio fare (perché pensano sia un laboratorio da due ore alla settimana e invece li trascino nel forum e me ne impossesso per tre mesi), ci sono le interviste.
Ogni GSSP, gli Scrittori Pigri hanno la possibilità di intervistare scrittori e professionisti del mondo dell’editoria.
Devo dire che finora ho sempre avuto la disponibilità (e la generosità) di persone straordinarie che mi hanno aiutata a mantenere un livello di eccellenza di cui vado fiera.

Dal 2014 a oggi, gli scrittori che i miei Pigri hanno intervistato sono stati (in ordine cronologico): Ester Armanino, Gianluca MorozziRiccardo GazzanigaSara Rattaro (che quest’anno torna nel GSSP con una bellissima video lezione)Giuseppe CulicchiaPietro Grossi e Alice Basso.

Mentre, in rappresentanza del mondo editoriale, hanno incontrato (sempre in ordine cronologico): Margherita Trotta (redattrice Mondadori e loro docente nel GSSP), Ricciarda Barbieri (editor Feltrinelli), Silvia Meucci (agente letterario), Chiara Beretta Mazzotta (consulente editoriale per autori, editori e agenti letterari), Elisa Tonani (ricercatrice di Storia della Lingua Italiana – Esperta di punteggiatura) e Marilena Rossi (editor Mondadori).

Bene, l’ultima intervista mi è stato chiesto di condividerla anche con voi e io lo faccio con immenso piacere.
Signore e signori, lettori e scrittori, ho la smisurata gioia di offrirvi l’intervista che gli Scrittori Pigri del GSSP-Scrittura e Narrazione hanno fatto a Chiara Gamberale.

CHIARA GAMBERALE INTERVISTATA DAGLI SCRITTORI PIGRI
Chiara Gamberale


Come tratti le storie che hai in testa prima di tradurle in romanzo? Stendi una scheda personaggi, un progetto, un “telaio” su cui andare a tessere pian piano, oppure funzioni meglio a sensazione, scrivendo di getto e mettendo insieme i pezzi a posteriori? Hai cioè un metodo di scrittura?
Dunque… Tutto comincia da un’urgenza animale di raccontare una storia: ma che deve tradursi in una sfida formale perché io senta che è quello, proprio quello, il libro che voglio scrivere. Per esempio, l’ultima volta, ho sentito l’urgenza di raccontare quanto sia difficile, pericoloso ma necessario il nostro contatto con il vuoto che abbiamo dentro: poi ho capito che volevo confrontarmi con il genere della favola per adulti, ed è nato Qualcosa. In una prima fase, come al solito, metto a punto trama e personaggi. Ma è una griglia lasca, che poi, nel momento della scrittura, grazie a una condizione di estasi che mi permette la concentrazione, quella griglia si riempie, si tende o si restringe e mi rivela segreti che non avevo messo in conto, inizialmente. E’ forse proprio il rivelarmi ogni volta cose che ancora non sapevo che fa del mio lavoro il mio unico rimedio all’esistenza.

Ho sentito un’intervista a John Irving in cui dice che lui non comincia a scrivere un romanzo fino a quando non ha in mente la frase finale, i personaggi e gli snodi fondamentali della storia, che non vengono poi modificati nella scrittura vera e propria. Nella tua esperienza quanto, di un romanzo, è già presente nel momento in cui cominci a scriverlo e quanto viene invece creato o modificato durante la scrittura?
In parte ho già risposto nella domanda precedente. Pur avendo il mio schema, e le caratteristiche fondamentali dei personaggi, affido molto, appunto, al momento della rivelazione. E la frase finale nasce sempre da come la temperatura si è scaldata nei mesi della stesura del romanzo.

In proporzione, quanto tempo dedichi alla stesura della prima bozza e quanto alla successiva attività di revisione, nella scrittura di un romanzo?
Direi, in proporzione, lo stesso tempo.

Da una delle esercitazioni che abbiamo fatto nel GSSP è uscita una discussione sul ruolo del correttore di bozze, dato che molti di noi si sono allargati a suggerire correzioni stilistiche. Nella tua esperienza com’è il rapporto tra lo scrittore e le altre figure (editor, redattore, correttore di bozze) che mettono le mani sul suo testo? Sono collaborazioni in cui c’è tempo e modo di confrontarsi?
Certo, nel mio caso sì. E possono essere esperienze molto nutrienti, come mi è successo con Laura Cerutti della Feltrinelli o con Guglielmo Cutolo della Longanesi.

Hai qualcosa da dire, una storia da scrivere, e che, almeno per te, è una storia buona. Sai a priori se te la pubblicheranno o è tempo perso? Non so se mi spiego: c’è qualcosa che ti dà l’assoluta certezza che quella storia verrà cestinata? C’è qualcosa che invece, sicuramente, dà a quello scritto una possibilità?
Paradossalmente, dopo che si è raggiunto un po’ di successo, la domanda diventa: ma la casa editrice pubblicherebbe qualsiasi cosa di mio, pur di vendere qualche copia e quadrare qualche bilancio? E bisogna diventare ancora più severi con noi stessi e autocritici, oltre a trovare persone, nell’ambito della casa editrice, di cui ci si possa davvero fidare.

C’è una tipologia di lettore per cui preferisci scrivere? Ti è mai successo di cominciare un testo per una data tipologia e di renderti conto a un certo punto che invece stavi scrivendo per qualcun altro? Che cosa hai fatto allora?
No, no: io non penso mai al tipo di persona che mi leggerà, mentre scrivo. E invito anche voi a fare vostra la massima di Pasolini: niente può essere urgente per chi lo legge, se non è stato urgente a chi l’ha scritto.

Qual è secondo te il punto X che un autore di narrativa (in Italia) deve raggiungere e superare per poter vivere esclusivamente del lavoro di scrittura?
Direi che arriva quando lo decide il conto corrente. Io, prima di Per dieci minuti, ero costretta ad accompagnare la scrittura con la radio. Ora la accompagno comunque con tre collaborazioni con delle riviste, ma è un impegno molto meno invasivo che, appunto, mi lascia molto più tempo per concentrarmi sulla scrittura. In America sapete che le università si occupano di stanziare un mensile per gli scrittori, per permettergli di fare il loro lavoro? In Italia temo non ci arriveremo mai…

Nel 2014 è uscito il tuo libro “Avrò cura di te”, scritto insieme a Massimo Gramellini. Vorrei sapere che metodo di lavoro avete adottato. Come si scrive un romanzo in due?
Si tratta di un romanzo epistolare e Massimo e io ci siamo trasformati fin dall’inizio in Giò e in Filemone, i due protagonisti: abbiamo quindi cominciato a scriverci con la nostra identità già “mascherata” dalla scrittura e in questo caso parte della trama è proprio venuta da certe sorprese che ci siamo fatti reciprocamente e a cui chiamavano l’altro a rispondere.

Quali sono state le maggiori difficoltà, gli ostacoli, i problemi che hai incontrato nella tua carriera di scrittrice?
Ho esordito a ventun anni, sono diciannove anni che faccio questo lavoro: gli ostacoli e i problemi sono stati tanti quanti gli incontri benedetti e le soddisfazioni. Per natura tendo a ricordare soprattutto queste ultime, ma ancora soffro, e tanto, se penso all’aria di sufficienza con cui all’inizio venivo guardata da un certo sottobosco letterario carico di arroganza e pregiudizio… Io ero giovane, non venivo da una famiglia intellettuale, avevo un entusiasmo che probabilmente suonavo un po’ cafone, dato l’ambiente…Non è stato facile conquistarmi una credibilità.

Oggi sei riconosciuta, giustamente, come una stimata professionista. Quali sono i ricordi della “scrittrice esordiente” e le difficoltà che hai dovuto affrontare?
A parte quelle che vi ho appena raccontato, quando ho esordito alle mie presentazioni c’erano massimo dieci persone… Solo dopo quindici anni ho visto il numero allargarsi, ma ho sempre ostinatamente creduto in quello che succede nelle librerie, negli incontri fra chi scrive e chi legge. E quindi giravo, giravo nel weekend. E nel frattempo, per otto anni, durante la settimana facevo la radio ogni giorno, che può sembrare bellissimo, e in parte lo è, ma insomma, per almeno tre anni ho lavorato molto più di quanto vivessi… Per questo agli esordienti dico sempre: non vi aspettate dalla prima pubblicazione un exploit che immediatamente vi metta nelle condizioni di considerare la scrittura il vostro lavoro. Quelle condizioni, purtroppo e per fortuna, vanno conquistate ogni giorno, senza perdere il fuoco che ci anima e con tanta, tanta disciplina.

Ci consigli un romanzo di un autore che ami che secondo te dobbiamo assolutamente leggere e ci dici perché?
Beh, da poche settimane io ho finito L’Impresa… Finalmente mi sono confrontata con la Recherche di Proust, l’ho letta da cima a fondo. Ci ho messo sei mesi esatti: e mi trovo cambiata sicuramente come scrittrice, ma anche come persona.

Sappiamo che sei uscita in questi giorni con il tuo ultimo romanzo, “Qualcosa” per Longanesi. Quanto tempo ci hai messo a scriverlo? Quali sono i temi più importanti che danno densità a questa nuova storia e il personaggio che ami di più di questo libro?
Per scrivere Qualcosa ci ho messo un anno esatto. La domanda fondamentale, come dicevo, è quella su come possiamo gestire il vuoto che abbiamo dentro, anziché farci gestire dal vuoto e subire la nostra vita. Ma volevo anche inneggiare al valore in cui credo di più, l’originalità. E i miei personaggi più amati sono i due protagonisti, necessari l’uno all’altro al punto che posso considerarli una cosa sola: la Principessa Qualcosa di Troppo e il Cavalier Niente.

Grazie Chiara, di cuore, da parte mia e di tutti gli Scrittori Pigri.