In ogni GSSP presento agli Scrittori Pigri tre figure professionali del mondo dell’editoria – scrittori, editor, agenti letterari, traduttori – e gli offro la possibilità di intervistarli.

Negli scorsi anni hanno intervistato Ester Armanino, Gianluca Morozzi, Sara Rattaro, Riccardo Gazzaniga, Giuseppe Culicchia, Pietro Grosso, Marilena Rossi (editor Mondadori), Elisa Tonani (linguista, per la punteggiatura), Silvia Meucci, Ricciarda Barbieri (editor Feltrinelli), Chiara Beretta Mazzotta, Alice Basso, Chiara Gamberale, Paola Cereda, Alba Bariffi (editor), Luisa Rovetta (Grandi Associati), Bruno Morchio, Francesca de Lena (editor e scout letteraria), Mauro Morellini (editore), Nadia Terranova, Giovanna Salvia (redattrice Feltrinelli), Alessandro Gelso (direttore editoriale di Rizzoli Ragazzi).

Una delle persone intervistate quest’anno è Cristina Rava, di cui è uscito da pochi mesi il romanzo Di punto in bianco per Rizzoli (collana NeroRizzoli).

Nata ad Albenga (SV) nel 1958, dopo gli studi classici non ha concluso il corso di laurea in Medicina per questioni famigliari, conservando però forte l’amore sia per la medicina che per la letteratura.

Da questo connubio è nato uno dei suoi personaggi: il medico legale Ardelia Spinola, coprotagonista e protagonista di una serie che conta al suo attivo nove romanzi.

La passione per il genere crime ha visto il suo esordio con il primo di una serie di romanzi editi dalla Frilli di Genova. Dopo cinque titoli (Indagine al nero di seppiaTre trifole per RebaudengoCappon MagroCome i tulipani gialliSe son rose moriranno), è avvenuto il passaggio a Garzanti con altri quattro titoli (Un mare di silenzioDopo il nero della notteQuando finiscono le ombre e L’ultima sonata) e, dal 2019, è passata in Rizzoli, nella collana NeroRizzoli, con Di punto in bianco.

Con il suo beneplacito e quello degli Scrittori Pigri, condivido con voi la loro intervista.

Qual è per te l’emozione più difficile da mostrare su carta? Come procedi per farlo?
L’emozione più difficile da raccontare è la sofferenza. Quando un momento personale infame va a coincidere con un dolore del personaggio, è problematico separare le emozioni private dalla narrazione. È necessario lavorare su se stessi, ritrovare la calma interiore e separare il privato dal lavoro, senza riversare enfasi in un racconto che richiede equilibrio e lucidità. In genere mi butto in una descrizione paesaggistica. Vengono benissimo.

Abbiamo avuto la possibilità di intervistare anche degli editor che ci hanno descritto il loro lavoro. Qual è la cosa che trovi più preziosa, dell’intervento di un editor su un tuo libro? E (se c’è) quella che ti mette più in difficoltà?
L’attivazione di aree neurali. Inciampare in correzioni severe, che devo attuare io e non lui, mi costringe a escogitare soluzioni nuove. L’intervento potrebbe ridursi a semplice inversione da forma attiva in passiva o viceversa, con scambio tra soggetto e oggetto; oppure potrebbe presentarsi la necessità di una frammentazione, con la creazione di un periodo più complesso.
La modifica mi obbliga a pensare in modo diverso, per questo ho parlato di aree neurali, o di nuove connessioni intersinaptiche che permettono di non fissare l’azione secondo una prospettiva ma di procedere in modo fluido. E questa diventa poi un’abitudine.
Le ripetizioni sono un inghippo che loro vedono e tu no. E quando non si trova un sinonimo, si ritorna alle modalità appena illustrate: una fatica immane per aggirare un termine ripetuto.

Come procedi nella scrittura di un romanzo? Progetti la trama e quando tutto è definito cominci a scrivere, o parti da un’idea e la sviluppi un po’ alla volta scrivendola? O magari procedi in un altro modo ancora?
Se la pianifichi prima, resti fedele alla trama che ti sei data o ti capita di modificarla, anche sostanzialmente, in corso d’opera?
In genere costruisco l’intera trama prima di scrivere una parola. Ho bisogno di avere il pieno controllo delle vicende. Ciò non esclude che possano intervenire cambiamenti non tanto sull’esito, quanto su parti dell’impianto, perché subentrano acquisizioni tecniche che impongono un cambiamento. Non si tratta mai però di un cambiamento sostanziale. 

Mi piacerebbe sapere quale sia la tecnica per la scelta e la gestione di uno o più personaggi, che saranno il filo conduttore non solo del primo romanzo ma anche di quelli successivi.
Considerando che fino a oggi, tranne due eccezioni, ho scritto storie seriali, i personaggi sono predefiniti. Naturalmente gli anni passano, succedono cose e quindi la loro fisionomia e il loro profilo psicologico sono suscettibili di variazioni verosimili. Il problema non si pone al primo romanzo, ma impone una verifica di coerenza, che non dev’essere rigida, ma credibilmente mutevole.

Quanta quotidianità entra nei romanzi di uno scrittore e quanta fantasia? I personaggi hanno spesso un alter ego nella sua realtà e come si riesce ad evitare che qualcuno riconosca se stesso? La classica formula “la somiglianza a fatti e persone citate è puramente casuale” è sufficiente? Non è mai capitato che qualcuno si sentisse tirato in causa?
I miei romanzi sono intessuti di quotidianità, la nostra, quella condivisa, fatta di stanchezza, di cene tra amici, di dolori sentimentali, di problemi di lavoro e piccoli successi personali.
Talvolta mi ispiro a figure incontrate nella vita reale, ma in genere vengono riplasmate per inserirle nell’impianto narrativo. Lascio emergere qualcosa in più quando si tratta di soggetti antipatici che spero possano riconoscersi in caso di lettura.
Forse a qualcuno potrebbe essere capitato, ma non è mai venuto a lamentarsi.

Le ambientazioni le scegli in base alla conoscenza che hai dei luoghi e poi ci costruisci il romanzo o pensi alla trama e poi la inserisci in un certo luogo? In che modo l’ambientare i tuoi romanzi nei luoghi della tua vita modifica la percezione degli stessi e come scegli quali luoghi far entrare in un romanzo e tramite quali dettagli?
Avresti qualche consiglio sulla caratterizzazione dei luoghi che utilizziamo?
Diceva la buonanima di Agatha Christie che il male è uguale dappertutto. Non sono d’accordo. Ogni società ha la sua percezione di male e le sue leggi, morali e giuridiche, per contrastarlo. Ma il male è presente dappertutto. Non esistono società beate. Pertanto non ho difficoltà ad ambientare le mie storie nel territorio a me famigliare. Ciò mi permette una gestione più agevole delle vicende.
La costruzione di eventi di fantasia in luoghi reali non cambia la percezione degli stessi. È semmai il contrario. Sono i tratti di vie e gli scorci naturali che mi suggeriscono di ambientare un’azione. Senza pianificazioni. Li osservo, è un flash, una sintonia. Resta poi, nella mia memoria successiva, l’impronta di quel racconto.
Consiglio di seguire l’istinto. Un luogo può essere interessante, unico, suggestivo, ma non adattarsi al nostro disegno mentale. Quindi inutile e dannoso forzare. Talvolta uno scorcio intravisto dal finestrino può contenere un’intera storia.

Fai molte ricerche per approfondire il personaggio e la sua attività, gli avvenimenti, le questioni tecniche, legali, mediche o altro? Se sì, di che tipo?
Il campo delle ricerche è disparato. Può coinvolgere personaggi, ambientazioni o situazioni. Predomina l’aspetto medico legale perché il mio personaggio principale o coprotagonista è un medico legale. Questo include dinamiche, metodi omicidiari e caratteristiche della scena del crimine. Ma non soltanto. Il genere crime è quello che più include aspetti scientifici non soltanto pertinenti la soppressione delle vittime, ma ascrivibili a metodiche d’indagine e a contesti specifici.
Può accadere che sia sufficiente un buon pdf universitario, ma la strada migliore è la consulenza con esperti in materia, qualunque essa sia. Il motivo è presto spiegato: l’intervista ad un tecnico permette di adattare ragionevolmente le risposte alla necessità narrativa.

Ci sono meccanismi del genere crime di oggi che secondo te bisogna assolutamente rispettare? Esistono differenze sostanziali rispetto ai dettami del genere classico e tradizionale?
Mi riferisco in particolare alle varie declinazioni delle “regole del giallo” proposte da molti autori, da Chandler a Van Dyne a Knox (ma anche Agatha Christie e tanti altri)
Oggi come sempre è obbligo rispettare le regole di verosimiglianza. Che un proiettile calibro 9×21 trapassi Caio uccidendolo e colpisca la ringhiera, rientra nelle possibilità; che dopo aver rimbalzato colpisca la porta dell’ascensore e ammazzi Tizio che ne stava uscendo rientra già un pochino nella fantascienza; che finisca la sua corsa nell’occhio di Sempronio, precedentemente intossicato dal fugu diventa comicità. Il lettore non s’immedesima più. Se è di buon carattere ride, se è ombroso butta via il libro.
Obbligo del rispetto della logica: niente come il genere crime obbliga al rispetto del vincolo causa effetto. Se si teme che la propria memoria possa tradire, è consigliabile annotare i passaggi salienti e alla fine della stesura operare un controllo accurato della sequenza di eventi.
L’ambientazione di una storia in epoca attuale obbliga a un’accurata documentazione sulle tecniche investigative che vanno dai test di laboratorio, alle metodiche di rilevamento, alle telecomunicazioni, includendo le geolocalizzazioni tramite le celle di telefonia mobile.
Non credo che valgano le regole del passato, invece, per ciò che riguarda i meccanismi della narrazione. Il poliziesco di scuola anglosassone era un gioco ozioso di società, l’hard boiled era il ritratto dei bassifondi dove brillava l’onestà del detective, anche se un po’ stropicciato dagli stravizi. Oggi la letteratura di genere è anche socialmente utile ed è un valido veicolo per denunciare magagne e malcostume.

Mi sembra che il genere crime stia riscuotendo un enorme successo in questi anni, in termini di vendite e apprezzamento di pubblico. Oltre all’aumento dei lettori, è cresciuto notevolmente il numero degli esordienti che provano a scrivere un crime: quali consigli dai a chi vuole cimentarsi in questo tentativo.
È una buona ricetta quella di mescolare originalità e tradizione (in modo da incuriosire il lettore ma non spaventarlo distaccandosi troppo da ciò a cui è già abituato)? Quali sono gli errori da evitare? Ci sono libri di approfondimento che consiglieresti?
Un’accurata e costante lettura dei colleghi contemporanei di tutte le latitudini. Spesso un bravo scrittore di noir sa raccontare la propria società in tutti i suoi aspetti, anche quelli minuti e quotidiani.
La ricetta buona non è rigida come quella di un dolce. Tutto dipende da quale ambiente si è scelto come sfondo e coprotagonista della storia. L’originalità non sta tanto nella costruzione, perché i rapporti tra vittima assassino investigatore non si prestano ad infinite variazioni. Quello che conta è la profondità dei ritratti personali, delle pulsioni segrete, della credibilità dei rapporti tra i personaggi.
L’errore principale è quello di esagerare, di strafare, di voler stupire. Una storia accede all’empatia del lettore quando è credibile, quando gli permette di immedesimarsi. Stiamo parlando di noir. Nel thriller esistono regole differenti. L’efferatezza, lo stato di aspettativa angosciosa della catastrofe imminente, la disperazione della vittima, colta ancora viva nell’attesa del supplizio, sono aspetti lontani dalla mia narrativa sui quali non posso fornire suggerimenti.
Ribadisco il consiglio di lettura di colleghi contemporanei quando già si sia acquisita una buona conoscenza dei classici. Sarebbe utile integrare con lo studio di testi tecnici che spazino dalla psichiatria forense, allo studio della scena del crimine, all’acquisizione di prove, includendo le tecniche d’interrogatorio, rudimenti di medicina legale (relativi all’approccio con il cadavere al momento del rinvenimento e delle prime valutazioni).

Quali case editrici ti sembrano più attente a valutare crime scritti da autori esordienti?
Forse Sellerio, E&O, Marsilio, NeroRizzoli, Einaudi e Guanda, ma sarebbe più giusto chiedere a un agente letterario.

 

Grazie, Cristina, per la tua generosa disponibilità!