Durante i tre mesi di GSSP, oltre al vero e proprio laboratorio di scrittura, presento agli Scrittori Pigri tre professionisti del mondo dell’editoria e li faccio intervistare da loro.
Cerco sempre di diversificare: scrittori, ovviamente, ma anche editor, agenti letterari, redattori, editori.
E sono sempre tutti molto generosi.
Vengono fuori interviste ricche, interessanti, stimolanti.

Nel GSSP in corso, quello sulla costruzione del romanzo, gli Scrittori Pigri hanno potuto intervistare Giovanna Salvia, redattrice per Feltrinelli (con cui ho lavorato all’editing di Vittoria), Alessandro Gelso, Responsabile Editoriale di Rizzoli Ragazzi, e Nadia Terranova, scrittrice.
Li ringrazio tutti e tre, davvero di cuore, per la disponibilità, la gentilezza e la cura che hanno avuto nelle loro risposte. Ci avete fatto un dono prezioso.

Io e i Pigri condividiamo con voi l’intervista a Nadia Terranova, appena uscita con il suo nuovo romanzo “Addio fantasmi” per Einaudi.

NADIA TERRANOVA
Nata a Messina nel 1978, vive a Roma.
Ha scritto i romanzi “Gli anni al contrario” (Einaudi, 2015; vincitore di numerosi premi tra cui Bagutta Opera Prima, Fiesole, Brancati, Bergamo e del premio americano The Bridge Book Award) e “Addio fantasmi” (Einaudi, 2018).
È anche autrice di diversi libri per ragazzi, tra cui “Bruno il bambino che imparò a volare” (Orecchio Acerbo, 2012; vincitore del Premio Napoli e del Premio Laura Orvieto), “Le nuvole per terra” (Einaudi Ragazzi, 2015) e “Casca il mondo” (Mondadori, 2016).
È tradotta in francese, spagnolo, polacco, lituano.
Ha scritto testi per la radio e per il teatro ed è docente alla Scuola del libro di Roma.
Attualmente collabora con la Repubblica e altre testate.

Questo è il suo sito.

E questa è l’intervista che le hanno fatto gli Scrittori Pigri, un’intervista che involontariamente risponde anche ad alcune domande di cui hanno disseminato il forum in queste ultime settimane, mentre lavoravano ai loro primi capitoli.
Annidati nell’esperienza di Nadia ci sono molti consigli preziosi.

Cimentarsi in generi diversi crea maggiori difficoltà nella scrittura, magari per la ricerca del diverso tono/registro utilizzato? E nel mondo editoriale è difficile affermarsi in un genere diverso da quello per cui si è già conosciuti?
Ogni storia nasce già con la sua voce, insieme. Forma e contenuto non sono mai disgiungibili. Sì, c’è il rischio che ti resti addosso un’etichetta, ma io non me ne sono mai curata e procedo per la mia strada, scrivendo storie per esseri umani di ogni età. In tutto il mondo gli scrittori “per adulti” scrivono anche “per ragazzi” e in Italia l’hanno fatto Elsa Morante, Italo Calvino, Dino Buzzati, Luigi Malerba, fra gli altri. È normale, naturale esplorare diverse possibilità linguistiche ed espressive. Di fronte alle etichette, basta scollarsele con eleganza.


Hai iniziato a scrivere prima per i ragazzi o per gli adulti? Com’è avvenuto il passaggio da un genere all’altro? Quando scrivi romanzi, ti capita di pensare se la storia potrebbe andar bene, con gli opportuni adattamenti, anche per i lettori più giovani o viceversa?
No, non penso mai in termini di adattamento di una storia da un genere all’altro. Come dicevo, ogni storia nasce con una sua voce, non è una variabile secondaria. Però a volte ci sono dei territori limitrofi o meglio delle escrescenze.
Faccio un esempio. Il mio ultimo romanzo, “Addio fantasmi”, è ambientato a Messina, la città con i suoi miti e le sue leggende è molto presente. Lavorandoci per anni, una volta chiuso, mi è rimasta Messina addosso, la mia Messina. Così adesso sto lavorando a un libro per ragazzi che ha a che fare con lei, una cosa completamente diversa. Ma la geografia del mio cuore mi è rimasta come impigliata fra le dita, un libro ha chiamato l’altro. Ho iniziato a scrivere per adulti, poi a un certo punto per mantenermi ho insegnato per un periodo in una scuola privata a dei bambini italo-tedeschi e mi si è come liberata anche una voce infantile. Non avevo in realtà mai smesso di leggere libri per ragazzi. La letteratura di qualità per ragazzi è meravigliosa, ricca di tesori. Così mentre attendevo che Einaudi accettasse il mio primo romanzo, mentre mi tenevano un po’ in sospeso, ho scritto “Bruno” un racconto per bambini in cui narravo le vicende di uno scrittore realmente esistito (e per adulti), Bruno Schulz. L’ha pubblicato Orecchio acerbo, è un libro a cui sono molto affezionata.


Esiste secondo te la possibilità di scrivere un romanzo che possa essere letto da un pubblico transgenerazionale, e quindi possa offrire stimoli a un ventenne senza annoiare il sessantenne e viceversa?
Certo. Tutta la grande letteratura è così: può essere letta da tutti a tutte le età. Dai 14 anni in poi siamo tutti adulti. Io al ginnasio leggevo Pirandello, Elsa Morante, Isabelle Allende, Margaret Atwood… Bisogna sfidare sempre ciò che è più grande di noi.


Quando scrivi un romanzo senti l’esigenza di comunicare qualcosa, di “spiegare” la tua idea, visione, se vogliamo filosofia, del mondo e dei rapporti tra gli uomini, oppure c’è solo il gusto di raccontare una storia?
Assolutamente nessuna tesi, per carità! Avere una tesi e svolgerla va benissimo per un saggio ma non per un romanzo. La letteratura deve essere scorretta, scomoda, un po’ bastarda: deve farti vedere contraddizioni e falle, deve lasciarti pieno di dubbi, incrinare totalmente le tue certezze. Sia a scriverla che a leggerla. Una visione del mondo invece deve venir fuori, ma involontariamente, non programmaticamente.


Come si trova il proprio “tono di voce” nella scrittura? Tu come l’hai trovato?
Bisogna cercare il punto in cui fa male. Quello da cui parlare è sgradevole. Quello che brucia di vergogna. Ti stai vergognando? Quella storia lì, quel sentimento lì, quella pulsione lì è abbastanza inconfessabile? Vorresti che non la sapesse nessuno? Perfetto. Racconta quella.


Come costruisci i tuoi personaggi? Sono persone che conosci? Ne mescoli alcune caratteristiche?
Sì, sono come dei pupazzi costruiti con brandelli di persone vere e brandelli di immaginazione e proiezione. Persone che ho conosciuto, più parti di me stessa e perché no anche personaggi letterari. Ma alla fine devono risultare completamente autonomi e credibili.


Come nasce il tuo processo creativo? Da cosa trai ispirazione per le sue storie? Ti capita mai, mentre stai scrivendo un libro, di pensare già al successivo?
A volte è una voce, a volte una scena. A volte una situazione, o il sentimento di un finale. Un’intenzione. Una direzione. Quasi sempre un ricordo doloroso, un tabù, un piccolo segreto familiare. Mi siedo e comincio. Scrivo poche righe, poi mi scordo. Dopo qualche giorno ci torno su. Diventano una pagina, due. Quattro, sei. Alla fine ci sono dentro e non capisco più niente, ma fino a pagina trenta non lo dico a nessuno nemmeno a me stessa. Poi, a un certo punto, non posso più nasconderlo: sto scrivendo una nuova storia. Mentre scrivo metto da parte le idee che non uso pensando: è per la prossima. A volte è vero, ma quasi sempre invece finiscono nella pagina dopo. Prima che l’idea del nuovo libro prenda forma serve aver chiuso definitivamente il precedente, ma qualcosa già comincia a galleggiare.


Cosa non si deve fare per pubblicare un libro?
Scriverne uno di cui non si è convinti.


In quale genere ti trovi più a tuo agio: romanzo (per ragazzi o adulti), testo teatrale o articolo di giornale?
Romanzo. E a parità racconto. E poi articolo. E infine teatro.


Chi è stata la prima persona a credere nelle tue potenzialità di scrittrice e come ti ha aiutata a diventarlo?
Michele, il mio compagno. Ha visto la scrittrice quindici anni fa, nascosta dietro le sembianze della studentessa appena laureata in filosofia che studiava ai corsi di editoria. Ha aspettato il momento giusto per incoraggiarmi a farlo davvero, e per qualche anno mi ha aiutata anche economicamente. Non sarei qui senza il suo sguardo, taciturno e fattivo.

 

Grazie, Nadia! Da parte mia e degli Scrittori Pigri!