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prima-il-puntino-laserPrima di raccontare la Cerca del Laser devo fare una confessione.

Quest'estate ho acceso la televisione. Non lo facevo da mesi, forse anni, a casa non l'ho nemmeno collegata alla parabola, non so nemmeno se ci sia, la parabola, sul tetto. E infatti, a casa, le reti televisive saltano come grilli. Ho controllato.
Ma quest'estate ero in montagna e l'ho accesa, imbattendomi in Real Time e rimanendoci invischiata come un gabbiano nel petrolio.
Gordon Ramsey che impazza tra ristoranti e alberghi,  casalinghe possedute dal demonio dei coupon, gipsy americani che organizzano matrimoni al di là dell'imbarazzante, obesi da quintali al quadrato che si prosciugano in un anno e poi lui, Jackson Galaxy, presentato come il maggior esperto di comportamento felino, con Il mio gatto è indemoniato.
Jackson Galaxy è adorabile, coi gatti e con gli umani, ci crede davvero, inventa soluzioni gattesche miracolose, prende sul serio qualsiasi problema emettendo diagnosi e prescrivendo terapie creative.
E gira con la custodia di una chitarra colma di giochini per gatti.
Tra questi, un puntatore laser.

Chi di voi conosce Brodo, ha già unito i puntini.
Il puntatore laser riesce a stancare anche un cucciolo di diavolo della Tasmania cocainomane, con Brodo, il gatto più bullo, più scalmanato e più pixar che io abbia mai avuto, potrebbe farci guadagnare un paio d'ore di pace. E Giuggiola potrebbe riposare.

E così è iniziata la Cerca del Laser.

Sono partita da internet, trovandone in gran quantità, di tutti i colori e persino a forma di topo, se l'umano proprio ci tenesse a sparare lucette dal muso di un ratto di plastica.
Prezzi contenuti, spesa affrontabile ma costo della consegna pari a quello del prodotto. Non aveva senso, meglio prenderlo direttamente in un negozio.

Arrivo in centro e mi dirigo verso il negozio per animali dove ogni tanto compro le scatolette di drago al vapore e succo di ambrosia, unicorno in umido con erba gatta, straccetti di araba fenice con asparagi di Atlantide e altre cose così, le uniche che Giuggiola sembra gradire ultimamente.
Chiedo se hanno un puntatore laser per far giocare il gatto.
"Lo abbiamo ordinato, arriva la prossima settimana, è a forma di uovo di pterodattilo, in cristallo di Boemia, ed è fisso: lo lasci a terra e lui emette vari tipi di luci, con cui il gatto può giocare".
Magari lo sbarco degli alieni in casa, per questa vita, me lo risparmio.

Mi dirigo fiduciosa verso uno dei più noti negozi di forniture per ufficio.
Il signore alla cassa sta servendo una donna, senza mostrare alcun segno di impazienza. Aspetto.
Quando gli scambi di consegne terminano e vengono sigillati dai saluti di rito, estraggo il sorriso da Tocca me, ma prematuramente: il signore esce dalla cassa, supera la cliente, mi passa davanti, raggiunge la porta, la apre alla donna, aspetta che esca e torna dietro il bancone. Lì, forse avendo esaurito la quantità di galanteria destinata alla giornata, mi getta un "Mi dica" con quel tradizionale fastidio che ha reso famosi i commercianti genovesi.
"Avete un puntatore laser?" domando, senza specificare l'uso che intendo farne.
Le spalle gli si abbassano in una scocciatura da metà pomeriggio, bofonchia un "Forse, non so, devo controllare" e si trascina verso un cassetto. Lo seguo.
Estrae una confezione che nemmeno il nuovo iPhone, leggendo ad alta voce le mirabolanti funzioni dell'oggetto. "Questo è una penna per i touchscreen, un puntatore laser  e può essere usato anche come cannuccia per il chinotto". Strabiliante, come il prezzo su cui il mio sguardo si era già incollato prima che lui leggesse e nonostante cercasse di armeggiare per aprire la scatola senza rispondere ai miei ripetuti "Scusi, quanto costa?".
Trentatré euro, costava, l'ammennicolo.
Lo ringrazio e gli spiego che no, davvero, volevo solo un semplice puntatore laser, di quelli da dieci euro a pagarlo caro. Mi guarda come se la mia sola presenza nel suo negozio lo stesse offendendo.
Saluto ed esco.

Mi viene in mente una delle mie cartolerie preferite di Genova, nei vicoli, piena di mille gingilli incantevoli e gestita da persone deliziose. Vado.
Mi infilo in vico San Matteo, entro nel negozio, scendo le scale, mi faccio strada tra cartelle, astucci, diari, penne di ogni colore e incrocio il sorriso dei due proprietari.
"Salve! Avete un puntatore laser?"
Non ce l'hanno e non credono che gliene arriveranno più, mi dice il signore più anziano, indicando una cornice di plexiglas sul bancone dove un articolo di giornale annuncia la liquidazione di quel negozio. Non ce la fanno più, sperano di essere rilevati da qualcuno. Loro - avanti - non riescono ad andare.
Lo dicono con tristezza e grande dignità, e io vorrei comprargli tutto.
Esprimo il mio dispiacere, auguro in bocca al lupo ed esco.

Camminando in via Luccoli mi ritrovo davanti a un negozio di giocattoli, scherzi e amenità varie. Chi lo sa, provo.
"Salve, avete un puntatore laser?"
I due ragazzi mi sorridono per il saluto e si spengono per la risposta. Non ne hanno, non ne possono avere, sono stati vietati. Vietati?!
Pare che alcuni deficienti li abbiano usati in aula per fare scherzi e abbiano bruciato retine a raffica, mi spiega il negoziante. Ne è rammaricato, era un gioco divertente, ne vendevano.
"Provi in un'armeria" mi suggerisce.
Ora, a parte il fatto che nemmeno so dove sia, un'armeria, e mi inquieta anche un po' sapere che ce ne sono, ma entrare in un'armeria per comprare un puntatore laser per far giocare il gatto è troppo anche per me, che da sempre vivo in un quotidiano dadaismo surreale.
Saluto ed esco.

Poco più avanti c'è un negozio di animali. Certo, una volta ho comprato lì un collare che il giorno dopo ho trovato, identico, in un altro negozio a un terzo del prezzo che avevo pagato, ma è un bel negozio, e poi ci sono sempre cincillà, cavie peruviane, criceti. Insomma, mi piace entrarci e spero sempre ci sia un po' di coda.
"Salve, avete un puntatore laser per far giocare il gatto?"
Nello sguardo della ragazza si accende del disprezzo. Controllo, ma non ho una pelliccia di visone, un colbacco di ermellino né un giaguaro al guinzaglio. Nulla che possa spezzare l'anima di un'animalista.
"No" risponde, come se il solo aver pensato che lei potesse vendere quella roba fosse un insulto. "Se vuoi quella roba cerca dai cinesi. E comunque non è che al gatto faccia bene, quel tipo di gioco".
Ohibò, qui si mette in dubbio l'autorevolezza di Jackson Galaxy. Urgono fondate argomentazioni.
"Perché?" domando.
Lei, lo vedo, ha un display che le si accende in fronte, sta pensando che io non dovrei nemmeno averlo, un gatto, idiota come sono. "Perché a inseguire la lucetta rischia di impazzire", risponde.
Ah. Ok. Capito. E' una di quelle.
E, è evidente, non ha mai avuto un Brodo.
Ringrazio, saluto ed esco.

Guardo l'orologio: cerco un giochino per gatti da un'ora e ho già cinque ministorie da raccontare. Da quando mi sono ritirata nell'eremo levantino, sembra che il mondo sia diventato più bizzarro. Dovrei uscire più spesso.
Per adesso, però, il puntatore laser, lo ordino su internet.

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