L’altra sera sono andata a vedere Paranorman coi miei Amici di Cinema e ne sono uscita facendo meh. Speravo meglio.

E’ un buon film d’animazione, i risultati visivi sono belli e interessanti, ma la storia, il testo e i personaggi sono troppo semplici, dichiaratamente per un target molto, molto giovane (scioccamente, perchè i bambini si divertono un casino anche e soprattutto con storie più complesse, più intelligenti, anche più demenziali o più cattive, i Grimm insegnano).
Infatti, l’ottenne dietro di me, a tre quarti del film, ha esclamato Che cavolata! trovandomi perfettamente d’accordo.

Detto ciò, sono uscita decretando una volta per tutte che a me “i film coi pupazzi” non riescono proprio a convincere. E io adoro il cinema d’animazione, sia chiaro.
Ma un conto è un film della Pixar (sempre sia lode alla Pixar), per dire, un conto è un film “coi pupazzi”. Che io non so niente di queste cose, ma ho capito che quello che io chiamo “il film coi pupazzi” è la stop-motion con oggetti reali. E grazie a wikipedia ho capito un pizzico meglio cosa sia la stop-motion, non è che mi voglia spacciare per una che ne sa, sia chiaro. Oh, è una tecnica interessantissima, per carità, applaudo al lavoro certosino e perfetto, ma…meh.

I miei Amici di Cinema hanno cominciato a pungolarmi col test della coerenza, partendo dal mio punto debole, ossia Tim Burton:
– La sposa cadavere?
– Bah, sì, ok, ma non mi ha fatto impazzire (anche la storia non mi ha convinta un granchè, diciamocelo)

– Nightmare before christmas?
– Sì, ok, meglio di Corpse Bride, ma mh, non come UP o Wall-E.
– Coraline?
– Ok, Coraline mi è piaciuto, non ho pensato la parola “pupazzi”, Coraline deve avere qualcosa di diverso, non so cosa.
– Wallace and Gromit?
– Per carità, buffi e demenziali, si guardano, ma son pupazzissimi, eh.

Non so, non entro nella storia, resto sulla soglia e mi entusiasmo solo per i disegni nei titoli di coda (di solito spettacolari, che pensi a quanto ti sarebbe piaciuto il film fatto con quelli).
La stop-motion coi pupazzi mi aggrava il 3D, ecco. L’ho detto.

Già, il 3D… Quel che penso del 3D credo di averlo già espresso in tutte le occasioni che ho potuto cogliere: non mi aggiunge alcunchè alla narrazione anzi, mi zavorra l’immaginazione, i dieci minuti di virtuosismi durante i quali sembra che oggetti e personaggi escano dallo schermo non mi giustificano due ore di occhiali sul naso.
Ho già la vita in 3D, davanti a una storia -che sia un film, un libro, un fumetto o uno spettacolo teatrale- io voglio rilassarmi e farmi portare via. Fotte una cippa delle cose cicciottose di plastilina.
Considero parte della narrazione la musica, la fotografia, i costumi, la regia, le luci, le scene, oltre naturalmente alla recitazione, alle espressioni e, va da sè, i personaggi, la storia, la sceneggiatura. Queste ultime sì, imprescindibili.
Spesso ho la sensazione che quando investono così tanto su elaborate tecniche d’animazione si concentrino meno sulla storia e il testo. Come se fosse ormai il modo a condizionare il cosa e non viceversa.
Non sono un po’ più “sciocchini” i recenti film con tripudi di effetti speciali, secondo voi?

Insomma, e poi la smetto, l’effetto speciale mi sta bene, è una celebrazione della tecnica, è un di più, ma è come una serie di fotografie in un romanzo: puoi anche metterle, ma non ti concentrare su quelle, non sono quelle la forza della storia, posso anche farne a meno e, anzi, lascia spazio al mio immaginario: quando leggo non ho bisogno dell’effetto visivo, quello ce lo metto io.
Ecco, capisco che l’effetto visivo in un film sia piuttosto fondamentale -l’analogia col libro va opportunamente contestualizzata- ma avreste amato di più un robottino e la sua blatta se avessero avuto più ombre e tondeggiature? Vi sareste commossi di più per la morte di una vecchina e per il tentativo di un vecchino di portarsi via la casa attaccandola a dei palloncini colorati, se vi fossero sembrati di pongo?

Tranquilli: il prossimo film che vado a vedere è C’era una volta in America, si torna al classico.