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BulboBaggiansQuando Francesca e Stefano mi hanno consegnato la loro bomboniera, nel solo avere quella scatola tra le mani io mi son sentita in colpa. Perché sapevo cosa conteneva e provavo già pena per quella vittima innocente.

I due sposini, in preda ai tipici effetti collaterali dell'amore che ti inebria nell'urgenza di contagiare tutti di gggiuiua, felicità e cuoricini, hanno deciso di regalare un bulbo, investendolo dell'enorme responsabilità di essere una metafora.
Così abbiamo lasciato tutti il ricevimento con una metafora da seppellire piantare e far crescere perché l'amore va curato e aiutato a crescere ogni giorno.
Eh.

Io ho fatto morire una menta marocchina in una settimana, ho disidratato piante grasse, ho assistito impotente alla disperazione di fiori recisi che hanno annaspato verso l'uscita fino ad appassire con quella vana speranza.
Molto metaforico anche questo, lo ammetto.
Ed eccomi con il bulbo dell'amore in una scatola e quel diavolo d'un bigliettino dei due che inneggiava ai grandi sentimenti e mi tentava col simbolismo.

Io e Bulbo ci siamo guardati un attimo ed entrambi abbiamo deciso di darci del tempo per pensare. Lui protetto nella sua scatola, io avvolta dai sensi di colpa.
Ho pensato di regalarlo a qualche amica col pollice verde, ho pensato di chiedere a mia zia di piantarlo nel suo fantasioso giardino dove tutto cresce, ho pensato di lasciarlo per sempre in quella scatola e far finta di niente.
Poi la sposina, oltre un mese dopo, ha domandato agli amici se l'avessero piantato, il suo dannato bulbo dell'ammmore, perché sennò sarebbe marcito.
E via con nuovi sensi di colpa. E dannazione, adesso marciscono pure, i bulbi? Non possono stare lì per decenni? Pare di no.

Ok, niente, c'era da coltivar l'amore. Alla peggio, mi son detta, va come al solito.

Così sono andata a comprare un vaso, un coprivaso, del terriccio "Coltiva bonsai, signora? No, era il sacchetto di terra più piccolo, gli altri sono enormi. Questa è terra per bonsai. Va bene lo stesso, la prendo come una metafora. Prego? Niente, lasci stare, mi verrà su una pianta in miniatura o con gli occhi a mandorla."
E l'ho piantato.
Per settimane non è successo nulla, ormai lo davo serenamente per spacciato, poi la mia amica, la sposa, è passata e ha esclamato che stava andando alla grande e no, non era esattamente uguale a prima, non vedevo? ma sì, quel verde che si intravedeva, certo che era un buon segno!
Ma pensa.
Insomma, non me ne ero accorta, ma stavo facendo crescere una pianta. O meglio: una pianta stava ostinatamente sopravvivendo a me. Molto metaforico anche questo.

Il fatto che Bulbo, dopo che me ne ero presa cura per settimane, abbia deciso di spuntare nei cinque giorni in cui l'ho dato in custodia a mia zia, la prendo come la classica bastardata dei bambini che muovono i primi passi davanti alla tata o alla nonna e non come una dichiarata preferenza, peraltro comprensibile.

Ora è lì, sta diventando altissimo, non ho idea di quando e cosa sboccerà, ma sta innegabilmente crescendo. E non parlo per metafore.

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