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Quando sono uscita verso le 18.30 dall'ufficio -in pieno centro- l'atmosfera era densissima e la strada pareva un set cinematografico dove mancavano ancora le comparse: già buio, pioggia appesa, negozi quasi tutti chiusi, solo io e in lontananza una o forse due persone che camminavano veloci. Con quell'incognita di non sapere come fosse la situazione a poche centinaia di metri da lì e con quella consapevolezza di cosa fosse successo alla città fino a pochi minuti prima, perchè chiunque avesse un collegamento a internet o una televisione aveva passato la giornata a seguire minuto per minuto quello che stava accadendo. Nell'aria, il silenzio.

Ho visto il Bisagno quasi in secca, stamattina, e dopo poche ore l'ho visto esondare con violenza e travolgere tutto e tutti, così come il Fereggiano, letale nella sua fangosa violenza, e lo Sturla. Ho letto la paura delle persone trasformarsi via via in rabbia e in ferocia, con la cieca esasperazione di chi vuole un capro espiatorio e lo vuole crocifiggere subito e in piazza, assetato di sangue da offrire in cambio di quello già versato, perchè inveire contro qualcuno di preciso è liberatorio e fa sentire a posto con se stessi anche quando lo si sarebbe comunque. Ho sentito il respiro pesante, affaticato e agonizzante di una città già ferita a morte ma ancora abbastanza viva per patire nuovi supplizi.

Le linee intasate hanno aumentato la preoccupazione di chi ci guardava da fuori mentre tra noi cercavamo di monitorarci a vicenda, seguendo i nostri spostamenti, divulgando le notizie e offrendo rifugio a chi era bloccato.
Io, barricata in ufficio, sapendo di non potermi muovere da lì,

avevo sotto controllo tutte le "mie" persone nonostante le enormi difficoltà nelle comunicazioni. Telefonare era quasi impossibile, se si riusciva la linea cadeva continuamente, funzionavano gli sms e soprattutto internet e per una volta ho benedetto facebook che è stato probabilmente il miglior canale di aggiornamento in tempo reale, dove tutti postavano immagini e video di ciò che accadeva nella loro zona, offrendo una panoramica completa della situazione.

In tutto questo, per fortuna, era in programma da tempo una cena da una mia amica che abita in una zona non alluvionata e molto vicina al mio ufficio, cena che coraggiosamente non è stata annullata e che mi ha offerto riparo in attesa che le strade tornassero praticabili oltre che una possibile ospitalità notturna in caso di necessità. Così, mentre la pioggia dava tregua, abbiamo cenato, chiacchierato, riso e scherzato, alleggerendo timori e tensioni.
Ma quando le nuvole hanno ricominciato a vomitare ho voluto tentare la sorte e raggiungere casa mia prima che la città naufragasse nuovamente.

Dietro inappellabile suggerimento della mia amica, ho preso un taxi per raggiungere la mia auto e rendermi conto, lungo il tragitto, della situazione delle strade. Nonostante il muro d'acqua, erano di nuovo e ancora accessibili e grazie al terzo grado a cui si è gentilmente prestato il tassista, ho dedotto di poter osare il recupero della mia macchina e proseguire da sola fino a casa.
Non avevo calcolato il blackout che aveva bloccato gli ascensori e, quindi, il dover salire a piedi per due rampe decisamente non pedonali, in un silos deserto come un paese abbandonato. La pioggia saettata dal vento e le luci al neon contribuivano alla regia e fosse stato un horror sarei sicuramente stata trucidata da qualche mostro munito di zanne e artigli.

All'uscita del posteggio mi sono ritrovata nel fango liquido fin sopra le ruote, col timore di passare sopra scooter caduti di cui si vedevano spuntare solo gli specchietti. Per fortuna quel tratto era breve, il resto delle strade era immerso più nel buio che nell'acqua, nonostante questa non mancasse.
Nei dieci chilometri che ho percorso credo di aver incrociato al massimo cinque macchine e non riuscirsi a togliere dalla testa le scene finali de La notte del Drive In 1 e 2 di Lansdale non era rassicurante. Con una cinepresa professionale si sarebbero potute raccogliere immagini perfette per scene da coprifuoco bellico o da invasione aliena.
Immaginate una macchina che procede in piena notte, al buio e sotto un diluvio, per le strade di una città apparentemente fantasma, con tutte le luci -dai lampioni alle finestre- spente. Non stavo rischiando, andavo piano e in una situazione ancora sicura, ma mi circondava un perfetto clichè di inquietudine.

Arrivata a casa, mi sono lasciata alle spalle e fuori dalle finestre la minaccia di una nuova ondata alluvionale che sento tutt'ora scrosciare sull'asfalto.
Non so cosa succederà domani o domenica, spero che la gente, stavolta, stia a casa. Lo stato d'allerta è lo stesso diramato negli scorsi giorni, ma averlo sottovalutato ci ha nostro malgrado insegnato qualcosa.

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