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Io amo ballare.
Sul serio, mi piace da matti, mi scateno, mi diverto, faccio un sacco di mossette buffe e gioco con chi ha voglia di giocare a fare i siemi.
Ovvio, con la musica giusta, quella vivace, allegra, il rock'n roll, i revival, quelli che canti anche se non conosci le parole, non quella roba martellante e senz'anima che ti unz-unza fin nei vestibolari sconclusionandoti i padiglioni auricolari. E ho anche dei problemi coi balli di coppia che costringono al contatto fisico e alla gestione condivisa dei movimenti  -due elementi insopportabili- e con il latino-americano che sì, permette di muoversi in modo divertente, lo ammetto: adoro sculettare come un cane felice, ma dopo mezz'ora di musica latino-americana potrei trasformarmi in una serial killer di congueros.

Però detesto le discoteche.
Non solo per una questione di dignitosa consapevolezza anagrafica ma perchè la mia idea di girone infernale si avvicina in modo impressionante agli spazi bui, con musica stordente, luci epilettiche e calca di gente. E sulla calca di gente porrei un particolare accento.
Io non vado ai concerti, perchè c'è la calca di gente, io non vado per negozi il sabato pomeriggio, perchè c'è la calca di gente, io non vado nemmeno alle inaugurazioni di qualcosa, perchè c'è la calca di gente.
Ma dopo una decina di giorni di Dai vieni dai ci divertiamo dai per una volta ho deciso di abbandonare la mia caverna e andare a ballare in una discoteca.

Il che ha comportato:

- uscire di casa alle 23.00 (si suggerisce strategica siesta pomeridiana)
- lottare per un parcheggio in zona
- sopportare attese al freddo fino a discrezione di un energumeno alla porta d'ingresso
- conquistare una gruccia nel guardaroba del locale, condivisa con altri due cappotti
- pagare 15 euro una Lemon Sweppes
- provare a ballare con musica inascoltabile e dopo mezz'ora arrendersi, sia per l'imballabilità di quella cacofonia, sia per la totale mancanza di spazio vitale in una pista di -non esagero- venti metri quadrati
- subire il fumo di sigarette disarmata dal fatto che "lasciano fumare anche all'interno del locale"
- spostarsi con la teleferica dell'inerzia, ossia immettendosi in un flusso umano e lasciando che i movimenti dello stesso, capace di tenerti entrambi i piedi sollevati da terra per rilevanti secondi, ti rivomiti dall'altra parte del locale in un tempo variabile dai cinque minuti ai tre quarti d'ora per la stessa distanza
- individuare un angolo da cui poter: respirare, contemplare i presenti, tener d'occhio gli amici, pensare a quale serial tv avresti potuto vedere in quello stesso momento a casa tua, sfuggire alla tormentosa quanto inutile domanda "Perchè?" che una parte di te sta ponendoti ossessivamente
- ammettere con onestà che lo sconosciuto che ti ha urlato "E sorridi, cazzo!", mentre tentavi di coprire il tragitto dal punto A al punto B, ha ragione
- attendere con paziente indulgenza che tutti i componenti della macchinata decretino la fine della serata e no, alle due del mattino "è troppo presto per andarsene". A prescindere.
- rispondere senza scomporsi per la natura della domanda quando uno ti guarda negli occhi e ti chiede, sincero, Sono veri? (è la terza volta che me lo chiedono e solo questo mese, siamo di colpo diventati tutti cibernetici?)
- alle 3.40 avviare una lavatrice con tutti i capi, mutande comprese, indossati per la serata, per riuscire a eliminare la puzza di fumo di cui sono intrisi
- alle 4 mandare una mail a un'amica dicendole che magari la mattina dopo dormi e purtroppo rinunci ad andare al mare con lei (sì, perchè qui da noi si sta ancora da dio in spiaggia)

Frase in codice della serata "Quando volete, eh."

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