Centro_AntiviolenzaIeri sera è successa una cosa che mi ha fatto riflettere.
Non era la prima volta che mi trovavo a subire le avance non richieste e non gradite da parte di un uomo e a non reagire per eccesso di buona educazione, ma era davvero da tanto che non mi succedeva e nel frattempo -vuoi l’età, vuoi l’esperienza, vuoi l’evoluzione di una coscienza sociale- credevo di aver imparato a riconoscere quel confine che passa tra un tentativo di seduzione e una violenza.
Invece no, invece è un processo così subdolo, infido e sottile che quel confine lo si travalica e lo si lascia travalicare molto più spesso di quanto si vorrebbe e si dovrebbe, diventando involontariamente complici di un meccanismo arrogante e schifoso che di questi silenzi si nutre.

L’uomo che ti fa piedino sotto il tavolo può far ridere o suonare patetico, quando non volgare.
L’uomo sconosciuto che ti fa piedino sotto il tavolo mentre sei a una cena tra amici di amici -e all’inizio neanche capisci che ti sta facendo piedino perché si sta così stretti e compressi che potrebbe essere solo un problema di spazio- comincia a essere imbarazzante.
Ma il muro dietro, le sedie attaccate tra loro, il tavolo basso, ti impediscono quel margine di movimento sufficiente a sfuggirgli.
E fin qui si può anche sorridere perché tutto sommato siamo ancora nel tentativo -maldestro e sgradevole quanto vogliamo- di seduzione.
Siccome ignorare è sempre stato il mio strumento per esprimere indifferenza e disinteresse, l’ho ignorato, ma sfortunatamente la mia impassibilità lo ha incoraggiato e, mio malgrado, da un semplice sfioramento di scarpe è passato a usare il piede per lambire indefessamente i miei stivali e poi tentare accanitamente di insinuarsi tra le mie ginocchia, ben chiuse per l’occasione.

Ecco, quello è stato il momento in cui il confine tra un tentativo di seduzione e una violenza, di quelle viscide e ambigue, è stato varcato.
E quello era il momento di impedirglielo.
Ma non l’ho fatto.

Non l’ho fatto per non mettere in imbarazzo i presenti con cui non avevo confidenza. Non l’ho fatto per non creare tensioni a quella che immaginavo fosse una coppia. Non l’ho fatto perché ero a disagio per essere stata messa in quella situazione. Non l’ho fatto per non rischiare di essere presa in giro dagli altri per aver reagito magari in modo esagerato. Eh, dai, per un piedino, su. Prendilo come un complimento!
Non l’ho fatto perché mi vergognavo.

E nel non reagire ho permesso che, ancora una volta, un uomo pensasse che quel modo di invadere una donna fosse tutto sommato gradito o se non altro accettato, che fosse normale se non addirittura piacevole, che fosse intrigante e magari efficace.
Be’, tu però non mi hai fermato. Vuol dire che ti piaceva.
E continuerà a pensarlo, continuerà a farlo.
Anzi, la mia apparente imperturbabilità lo eccitava.

Stiamo parlando di uno squallido piedino, non di uno stupro. Ma è quello il principio da cui si generano la violenza sulle donne e la mentalità che crea a quella violenza terreno fertile. Quella nostra maledetta buona educazione e quel nostro senso di pudore e di vergogna che ci fa star zitte, subire e sentirci poi in colpa per averlo permesso.

Se fosse successo a una qualunque delle mie protagoniste avrei saputo perfettamente come farle reagire e nessuna di loro, nessuna, avrebbe sopportato in silenzio.
Io sì e come me molte altre donne.

Facciamo qualcosa.