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Ci sono alte probabilità che questa sia la prima e ultima volta che parlerò di calcio.
Anzi, esaurisco subito l'argomento dicendo tutto ciò che so in proposito: si prende a calci una palla, la si rincorre e si cerca di infilarla nella porta della squadra avversaria. A farlo sono 22 uomini in calzoncini corti e maglietta colorata.
La mia famiglia, per quanto spantegata sia, tiene per il Torino e, quindi, per gemellaggio, per il Genoa. Quando Toro e Genoa sono avversari in campo non ho idea di come funzioni.
A vedere una partita allo stadio ci sono stata, una volta. Ero piccola, una quattrenne o poco più.
Mi ci ha portata il nonno. Il nonno, da giovane, giocava nella Pro Vercelli ed era anche parecchio bravo.
Mi aveva portata a vedere il Genoa e mi aveva regalato un cuscino formato da due rettangoli, uno rosso e uno blu, che aprendosi formavano un quadrato morbido su cui sedersi.
Quello è stato il mio imprinting calcistico, rosso e blu.
Ma c'è anche un'altra squadra che si è accaparrata quei colori: il Bologna. Di cui non so assolutamente nulla, io.
Per fortuna Gianluca Morozzi compensa ogni mia minima lacuna: ci ha scritto su un libro.

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