Quando avevo circa 4 anni, mio papà mi ha portata a Venezia.
E’ stata l’unica volta che sono stata a Venezia e di quella breve vacanza ricordo molte cose, ma tre in particolare, rimaste impresse nella mia storia personale come Gli aneddoti di Venezia: i mori che suonavano la campana, lo yo-yo che si illuminava, le gondole che sembravano gusci di cozza.

Credo pentendosene amaramente, papà mi aveva fatto scoprire la Torre dell’orologio in Piazza San Marco, dove due enormi mori di bronzo battevano le ore contro l’enorme campana di bronzo.
Già di per sé ciò poteva bastare a destare meraviglia, ma la vera gioia fu scoprire che si poteva salire fino in cima alla torre per vedere e sentire da vicino i bronzi scoccare il tempo, facendo un frastuono pazzesco che mandava ai pazzi qualunque adulto e in visibilio qualunque bimbo.
Capite anche voi che era molto più bello di Disneyland e Gardaland messi insieme, perché quello era vero, i bronzi erano veri, la campana era vera, la torre era vera ed era fantastico lo stesso!
Credo di aver costretto mio padre a portarmi lassù se non tutte le ore comunque tutti i giorni. Roba da far tremare i timpani finché erano ancora funzionanti. Bellissimo.

Nella piazzola davanti al nostro albergo c’era sempre un tizio che vendeva yo-yo che si illuminavano.
Erano tutti uguali, un lato rosso e uno blu, di plastica trasparente, e ogni volta che roteavano attaccati alla loro cordicella le luci che avevano dentro si accendevano e ne veniva fuori un volteggio luminoso.
Io ero incantata da quegli yo-yo e ne desideravo uno più di qualunque cosa al mondo.
Adoravo giocare con lo yo-yo, lo avevo imparato da Eta Beta, uno dei miei personaggi preferiti di Topolino, ed ero bravissima a farlo piroettare in giù, in su ma anche dritto davanti e dritto all’indietro, virtuosismi per pochi esperti, giusto per gli allievi di Eta Beta (era ancora troppo presto per essere una giovane padawan, lo sarei diventata solo qualche anno dopo, nel frattempo Eta Beta preparava il terreno).
Più o meno con la stessa determinazione con cui costringevo mio padre a farsi assordare dai bronzi di piazza San Marco, credo di aver dato il via a un sapiente stillicidio mirato a rendermi titolare di uno yo-yo luminoso e, dopo aver incassato una serie spietata di dolorosissimi No, una sera, l’ultima sera a Venezia, nel mettermi a letto, ho trovato sotto il cuscino l’oggetto del desiderio.
Potete immaginare la mia gioia. E anche i mesi successivi passati ad ammorbare tutti col mio yo-yo luminoso.

Infine le gondole, quelle buffe barchette a forma di guscio di cozza guidate da omini con magliette a righe e armati di lunghi bastoni.
Considerate che anche la mia città era una Repubblica Marinara, non è che le barchette fossero per me qualcosa di straordinario, né andare in mare su una di loro, ma ammetto che quelle strane imbarcazioni suscitavano un loro fascino e soprattutto sapevo che erano una cosa tipica di Venezia, una cosa che si poteva fare solo lì, una di quelle cose vere ma non per questo meno affascinanti.
Per cui anche fare un giro in gondola era uno dei miei tormentoni della vacanza.
Solo che io ho sempre odiato andare nei bagni pubblici e anche se ora questo dettaglio può sembrarvi sconnesso dal racconto, voi tenetelo comunque a mente.

(spiega /on)
Odiare i bagni pubblici significa aspettare di usare quelli della propria casa o stanza d’albergo, significa passare la giornata a trattenere tutto, arrivare allo stremo e arrendersi quando davvero non si può aspettare oltre.
Per cui, di tanto in tanto e di punto in bianco, obbligavo mio padre a fare delle corse forsennate nel primo gabinetto approvato, non sempre arrivando in tempo utile.
Tranquilli, sono cambiata, ci ho messo anni ma col tempo ho imparato a usare i bagni pubblici o altrui, con l’unica, piccola e tascabile condizione di avere sempre con me una confezione di fazzoletti detergenti per l’igiene intima. Un innegabile passo avanti che mi ha nettamente migliorato l’esistenza (e quella di chi viene in vacanza con me).
(spiega /off)

Bene, torniamo alla gita in gondola.
Finalmente era arrivato il momento tanto atteso e io non stavo più nella pelle: stavamo andando in gondola!
Il patto era chiaro: avevo dovuto promettere a mio padre di non dover fare la pipì.
Era l’unico impegno che mi aveva fatto assumere per poter salire sul guscio di cozza guidato dall’omino a righe, per cui ci siamo incamminati.
– Barbara, sicura che non ti scappi la pipì?
– Sì papà.
– Barbara, guarda che se ti scappa la pipì non ti porto in gondola, eh.
– Non mi scappa la pipì.
– Davvero?
– Davvero.

Ma arrivati davanti alla gondola, forse tradita dall’emozione, una piccola bimba di 4 anni, con l’espressione più drammatica che avesse in repertorio, ha cominciato a saltellare dicendo Papà, pipì, papà, pipì, papà, pipì!
E io non sono mai andata in gondola.

Anni dopo, una sera davanti a una pizza, mio padre mi ha confessato di avere da allora il grande rimorso di non avermi portato in gondola quel giorno. Ero piccola e volevo tanto andarci, non portarmici per restare ligio all’impegno era stato crudele e ingiusto, secondo lui.
Secondo me no, aveva ragione lui, ma soprattutto gli ho spiegato come per me, di quella vacanza, non fosse affatto rimasto il dispiacere di non essere andata in gondola. Nemmeno me lo ricordavo, io, il giro mancato.
Di quella vacanza a me è rimasto tutto il resto, tutto quel vero ma fantastico che avevo visto a Venezia e che non mi aveva lasciato neanche un barlume di desiderio di un giro in gondola.
Ma a lui, invece, è sempre rimasto il desiderio di tornare a Venezia con me e sono vent’anni che ogni tanto me lo ricorda.

Così, quando ho saputo che il 12 dicembre ci sarebbe stata la presentazione del libro Fiabe per leoni veneziani  all’Hotel Danieli a Venezia (alle 18, accorrete!), ho pensato che fosse l’occasione giusta per fare tante cose contemporaneamente, come andare a trovare Sara e Ale a Bassano del Grappa, come convincere una veneto-berlinese a salire su un aereo e arrendersi al Fiorio Tour, come incontrare amici vecchie e nuovi nella Serenissima, come partecipare a un evento speciale per le fiabe e per i bimbi e come tornare a Venezia con papà.

Tranquilli, ho in borsa la mia fedele confezione di salviette.

Ps
No, non ho alcuna intenzione di fare un giro in gondola, per lo stesso motivo per cui ci sono certi libri che non voglio rileggere: voglio lasciarli così come li ho vissuti, senza intaccare la loro magia.