O madre, tu, degli Eneadi, o Venere alma, delizia degli uomini e degli dei, tu che vivifichi sotto gli astri scorrenti del cielo il mar che porta le navi, le terre che dàn le messi: si genera ogni famiglia per tè degli esseri, e nata vede la luce del giorno; giungi, e ti fuggono i venti, o dea, ti fuggon le nuvole, a tè produce i soavi fiori la terra ubertosa, sorride a tè la distesa del mare, e brilla di un largo chiarore il cielo tranquillo: e non appena la bella stagione di primavera si apre, e ridestosi l'alito fecondatore di zefiro si avviva, prima gli uccelli dell'aria, tocchi nel cuore dal tuo potere, t'annunziano, annunziano il tuo ritorno, o diva; quindi le greggi indome saltan pei lieti pascoli e guadano i rapidi fiumi; così, soggiogato dalla tua grazia, bramosamente ciascuno ti segue dove ti piaccia condurlo.
(Lucrezio, De rerum natura, Libro 1)

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