Che importa se è saltata la corrente mentre ero sotto la doccia completamente insaponata, capelli compresi, e sono stata costretta a risciacquarmi con l’acqua caldina, tiepida e via via sempre più fredda perché la calderina, lo ricordo, va a elettricità? Per non parlare del phon.

Che importa se mentre mettevo la camicia bianca mi si è riaperta la ferita sul polpastrello (fatta la sera prima mangiando la mia striscia di liquirizia semestrale e tagliandone i pezzetti con le forbici da cucina, come al solito)? Ho messo la camicia nera e bonna lè.

Che importa se mentre infilavo nel borsone i canestrelli, i baci di dama, la mescolanza, le gocce di rosolio, il pandolce genovese e le ovette di marzapane (perché nella terra dei buongustai io vado armata), mi sono impigliata nella catenina che non levo da oltre due anni, rompendola?

Io per Bologna sono partita comunque.
To mò.

(cambio tempo verbale, olè)
Già sul treno si respira un’altra aria. La direzione è quella giusta.
Un ragazzo dallo spiccato accento emiliano si siede  di fronte a me e comincia a chiacchierare. Mi dà del lei. Avrei preferito di no.
Chiede a che ora arriveremo a Piacenza.
Due ore. Che noia far niente per due ore. Si può leggere, scrivere, ascoltare musica. Noi non possiamo, non ci lasciano portare niente di tutto questo.
Mi chiedo se stia entrando nella casa del Grande Fratello.
Portare dove? In albergo per il ritiro prima della partita di nazionale di calcio serie qualcosa. E perché? Perché non dobbiamo avere distrazioni. Nemmeno un libro? …Un libro? Quello non saprei, non abbiamo mai chiesto.
Ok.

Il resto del viaggio prosegue con una piacevole chiacchierata con Marco, avvocato di Bologna (grazie della compagnia e ricorda di mettere patate e fagiolini nell’acqua dove fai bollire le trofie).

Ad aspettarmi alla stazione c’è Morozzi, come sempre sorridente, placido e senza alcun tormento a vorticargli addosso. Lui ha capito molte cose della vita e giustamente se la gode.
Si va, si chiacchiera, mi racconta di Batman, parliamo di Sheldon di Big Bang Theory, evitiamo il banchetto della Lega allungando il percorso di un paio di chilometri, passiamo per vico dei ranocchi, prendiamo un aperitivo rinforzato (che offre lui, sia perché è un signore sia per compensare i miei ultimi aggiornamenti in ambito “corteggiatori”) e finalmente arriviamo alla Feltrinelli di piazza Ravegnana. Che è un posto dove perdersi per ore, con una vetrina dedicata a Chanel non fa scarpette di cristallo.

La prima sorpresa me la fa Alessandro Bergonzoni, che non solo ha trovato tempo per me ma che è il più puntuale di tutti. Con buona pace per la mia ansia da prestazione che a quel punto alza le mani, si arrende e va a ubriacarsi irrimediabilmente.
A ruota spuntano anche Ric, la Betty, Mauro, Serena, insomma, la “mia” Bologna c’è tutta.

Si comincia, davanti a un pubblico bellissimo.
Il Moroz mi mette subito a mio agio costringendomi a rivelare dettagli imbarazzanti della mia vita, giusto per scaldare l’ambiente. Ora in molti sanno che mi piace il latte di mandorle, che adoravo Zorro e che i Dii, di tanto in tanto, mi fanno incontrare dei mentecatti, per loro puro divertimento.
Ma le tre ragazze, la Vecchia, le fiabe, il Maestro e Margherita, i principi azzurri e un paio di gatti si impongono e riempono lo spazio, dominandolo.

Solo dopo scopro che le sorprese non sono finite e che ad ascoltarmi sono arrivati anche altri amici di cui finalmente scopro volti e sorrisi. Grazie Raimondo, per esserci stato e per le ciliege nel maraschino che non vedo l’ora di mangiare, grazie Joril per esserti fatto quel bordello di chilometri, grazie agli amici di facebook, grazie a chi ha avuto voglia di scoprirmi ora.

Sarebbe un finale perfetto già così ma, ehi, sono a Bologna e con amici, vi pare possa bastare?