Uno dei professionisti che gli Scrittori Pigri del GSSP Scrittura e Narrazione 2020 hanno intervistato è Giuseppe D’Antonio, redattore editoriale e formatore.

Giuseppe D’Antonio è nato a Napoli nel 1975. Laureato in Italianistica, inizia a lavorare in ambito editoriale come lettore alla Nottetempo di Roma.

Dopo due anni come redattore a L’ancora del mediterraneo (casa editrice di Napoli), inizia la libera professione collaborando con case editrici e service editoriali in qualità di editor, correttore di bozze e impaginatore.
Formatore nei corsi per redattori editoriali dell’agenzia letteraria Herzog di Roma e nei corsi de Lalineascritta di Napoli, dal 2019 è docente al “SEMA – Master universitario in scrittura e editoria“.
Dal 2011 al 2015 è stato redattore per la rivista online Archivio Caltari.
Dal 2017 fa parte della redazione della rivista online I libri degli altri, di cui cura la newsletter settimanale.
Suo il meraviglioso e prezioso Galateo editoriale che vi consiglio di leggere con grande attenzione.

1) Quando hai cominciato, come lettore, che tipo di criteri utilizzavi per costruire le schede delle opere? Ci sono delle linee guida imposte o ci si affida completamente alle competenze e al gusto del lettore?

Per cominciare, va fatta una distinzione fra due tipi di lettore/consulente: quello editoriale e quello letterario.
Il primo, di solito, lavora per una o più case editrici, e segue dei criteri stabiliti dalla stessa casa editrice, che possono riguardare: la letterarietà o meno del testo; l’appartenenza o meno a un genere; la possibile collocazione o meno all’interno di una collana specifica; la qualità della scrittura ecc. Questo lettore/consulente si muove su un territorio abbastanza delimitato, all’interno del quale poi può (e deve) far valere le sue competenze.
Il consulente letterario lavora di solito per quelle agenzie letterarie che  forniscono anche un servizio di consulenza: un autore manda il proprio romanzo e, dietro pagamento, ottiene una dettagliata scheda che di quel romanzo analizza i punti deboli e suggerisce alternative al fine di migliorarlo. Qui non ci sono linee guida specifiche, ma tutto è demandato alle competenze del lettore o della lettrice.
I criteri, in questo caso, variano a seconda del tipo di testo che ci si trova dinanzi. Per fare un esempio: valutare un romanzo di genere (un giallo, un thriller) e valutare un testo di narrativa non di genere sono due cose diverse: il primo deve rispondere a determinate regole dettate dal genere di appartenenza (e laddove se ne discosti o le sovverta deve farlo con un certo grado di perizia); il secondo può consentirsi maggiori libertà. Un consulente letterario deve saper gestire entrambi i casi e – se non è anche un lettore di genere, per dire – meglio che lasci perdere quel tipo di consulenza.

 

2) Nella tua attività da redattore, come gestisci il rapporto con gli autori? 

Da redattore libero professionista non ho sempre occasione di avere rapporti diretti con gli autori. Quando capita (comunque non raramente) il rapporto avviene quasi sempre tramite email, a volte al telefono. La tipologia di rapporto dipende molto dall’autore: c’è chi tende a mantenere le distanze; chi è più socievole; chi è molto geloso del proprio testo; chi totalmente indifferente… quindi devo essere io a tararmi sugli autori e le autrici.
In genere, quanto notano che c’è una persona che si prende cura del loro testo (e quindi segnala, suggerisce, corregge, individua incongruenze, solleva dubbi) si mostrano sempre molto disponibili e (apparentemente) gratificati.

 

3) Nel tuo ruolo di formatore, quale pensi che sia la competenza più importante da trasmettere ai tuoi allievi affinché possano costruire una professionalità solida nell’ambito editoriale? 

È fondamentale mettere sempre in dubbio ciò che si sa (o si presume di sapere); un redattore non deve “sapere” le cose, ma sapere “interrogare” un testo e sapere dove e come cercare le risposte. Non è importante conoscere la data di morte di Gengis Khan o il numero di pecore che ci sono su Kangaroo Island o il fatto che “orsatto” non è un refuso per “orsetto” ma il termine letterario per “cucciolo di orso”; è invece importante sapere cosa, come e dove andare a verificare.
Se devo indicare delle competenze specifiche direi: pazienza, attenzione e acribia. E poi studio e formazione continua: redattori e redattrici lavorano con le parole, sulla lingua, e la lingua è mutevole, quindi meglio bandire i fondamentalismi e concentrarsi sui contesti e le sensibilità, ma sempre con spirito critico (e tantissima diplomazia).
Altro aspetto molto importante – e pratico – è imparare a usare almeno un programma di impaginazione: è una competenza sempre molto apprezzata da case editrici e service editoriali.

 

 

4) C’è il rischio che lavorare a lungo sui testi degli altri, alla lunga, diventi un’attività meccanica? Oppure ogni nuovo testo riesce a trasmettere un senso di cambiamento e di stupore?

La meccanicità, più che un rischio, è una benedizione.
Quando si lavora sugli aspetti micro di un testo è cosa più che buona avere uno sguardo e una lettura meccanica, che con un’altra terminologia possiamo chiamare “lettura di controllo”.
Non sta a me – in quanto redattore, copyeditor, correttore di bozze – emozionarmi o stupirmi per un testo: io devo setacciarlo e correggerlo, non applaudirlo (quello è compito dei lettori e, in prima istanza, dell’editore che decide di pubblicarlo – e nemmeno sempre…).
La stessa cosa vale, in parte, anche per l’editing di contenuto e struttura. A quell’altezza di lettura, un editor deve avere uno sguardo distaccato ed essere in grado di individuare debolezze e suggerire alternative.
Questo non vuol dire che non ci si possa stupire, ma non è ciò che penso mi debba essere richiesto e non è ciò che spero mi sia chiesto.

 

5) Ma, soprattutto: si riesce a spegnere l’editor interiore mentre si legge per diletto personale?

Io faccio molta fatica, e il più delle volte non ci riesco. Credo sia l’effetto collaterale della meccanicità di cui sopra. Ma comunque non è mai una presenza così disturbante da condizionare una lettura per diletto.

 

6) La mia domanda riguarda “conflitto” e “cambiamento”.
Spesso parlando agli aspiranti scrittori si insiste – giustamente – sul concetto di “cambiamento” che i personaggi dovrebbero mostrare dall’inizio al termine della storia. Se prendiamo in esame generi come il noir, giallo o thriller, quanto vale questo discorso, soprattutto se riferito a una componente “psicologica”?
Per fare un esempio: ho l’impressione che il Jack Reacher di Lee Child (di cui ho letto qualche romanzo, non tutti) non mostri evidenti segni di cambiamento dall’inizio alla fine di una storia, essendo molto impegnato a “risolvere problemi” e ad agire, agire, agire.
Ho chiaro che i personaggi debbano essere costantemente in conflitto, ma sulla questione del cambiamento non ho chiarezza. Possiamo intendere anche la componente pratica, quindi passare da una situazione X alla Y (esempio: fuggire da un luogo ed essere finalmente salvo) e ritenerci più o meno “soddisfatti”?

Questa domanda andrebbe rivolta a chi insegna scrittura creativa più che a un redattore, ma provo a rispondere ugualmente.
Cambiamento, conflitto, struttura in tre atti e tutto ciò che viene insegnato nelle scuole di scrittura sono strumenti – niente di più – non dogmi; e come tutti gli strumenti, di qualsiasi disciplina, vanno usati, gestiti e adattati in vista del risultato che si vuole ottenere.
Jack Reacher, James Bond o altri personaggi del genere (e di genere) non cambiano – o cambiano molto poco – perché non ne hanno bisogno, perché il contesto narrativo nel quale sono calati e nel quale agiscono non richiede “lo strumento cambiamento” (ma ne richiede però altri che hanno a che fare con la trama e la struttura).
Inoltre, quei personaggi non hanno bisogno di cambiare anche perché c’è un pubblico di lettori che li vuole sempre così, che se li aspetta sempre in quel modo e che – può sembrare strano – li ama proprio perché sono sempre in quel modo; ciò non toglie che uno scrittore o una scrittrice possa un giorno creare un nuovo James Bond con gli stessi turbamenti del giovane Törless. Ripeto: tutto sta in quello che si vuole ottenere e in come lo si vuole ottenere.

 

7) Hai un metodo di approccio al testo come correttore di bozze? 

Una bozza è la copia provvisoria di un libro con tutti gli elementi testuali e grafici al proprio posto: indici, bibliografia, note, immagini, didascalie, numeri di pagina, testatine e così via.
Il metodo migliore per evitare che non sfugga nulla (meglio: per evitare che sfugga il meno possibile) è quello di controllare tutti gli elementi volta per volta, sulla base di un elenco che ogni correttore può preparare e seguire. Quindi: controllare la successione dei numeri di pagina; poi tornare indietro e controllare le testatine; poi concentrarsi solo sulle immagini e le didascalie e controllare inoltre che i riferimenti fra testo e didascalie siano corretti; poi controllare le note e verificare che ci sia corrispondenza con i numeri in apice nel testo; verificare e controllare che alle voci dell’indice corrispondano i numeri di pagina nel testo; controllare l’uniformità della bibliografia… potrei andare avanti ancora a lungo, ma credo che a questo punto sia chiaro. Ovviamente, c’è poi la lettura attenta di tutto il testo in cerca di refusi.

 

8) Da dove nasce la tua passione per il testo?

Non ho una passione per il testo; la mia credo sia solo un’inclinazione nata da piccolo, quando trovavo divertente scovare, per puro caso, quelli che all’epoca non sapevo ancora si chiamassero “refusi”. (Divertimento che è venuto meno quando la lettura è diventata una professione, e ogni refuso rimasto in stampa è un’imprecazione mai trattenuta.) Con gli studi universitari ho poi sviluppato un interesse più tecnico nei confronti della lingua e del linguaggio – di come è possibile articolarli e modellarli in funzione degli effetti desiderati – e dei testi.

 

9) Mi capita spesso di leggere libri che contengono refusi ed errori. E non parlo (solo) di case editrici piccole. Secondo te, come si spiega?

Si spiega molto semplicemente: poco tempo per lavorare su un testo e compensi bassi. O, a volte, solo compensi bassi; il che vuol dire che se ti danno un numero di giorni congruo per poter lavorare su un testo, non puoi economicamente dedicare tutto il tuo tempo per quel singolo lavoro, considerato quanto te lo pagano.

 

10) Quante letture fai in media di un testo prima di consegnarlo all’autore o alla casa editrice?

Se lavoro con un autore non pubblicato (o magari che si sta autopubblicando), le letture possono essere diverse: da quella su struttura e contenuto; poi quella sullo stile; poi quella più propriamente di copy e così via… ma non che queste letture siano sempre così rigidamente separate. Dipende sempre da cosa vuole l’autore e quanto è disposto a spendere.
Se lavoro con una casa editrice, dipende anche qui: dalla casa editrice, dal tipo di testo, dal tipo di lavoro (editing, copyediting, correzione di bozze) e dall’urgenza che hanno. Considera che ogni lettura ha un pagamento a parte, quindi in linea di massima si tende a ridurre il numero di letture (e quindi vedi risposta precedente).
Esiste poi una condizione naturale per cui è pressoché inutile fare più di una lettura dello stesso testo se si è in correzione di bozze: è davvero difficile che alla seconda lettura di uno stesso testo l’occhio umano riesca a individuare quei refusi che non sono stati individuati alla prima; ed è per questo che buona pratica vorrebbe che di un testo si facessero più giri di bozze da correttori diversi (ma spesso non c’è tempo e non c’è budget e quindi rivedi la risposta precedente).

Ancora, davvero grazie a Barbara e a voi tutte e tutti.

Grazie ancora a Giuseppe D’Antonio per il suo tempo, le sue parole, la sua cura nelle risposte e la sua generosità.

Il GSSP Scrittura e Narrazione è il laboratorio online per scoprire, sperimentare e rafforzare le principali tecniche narrative, per essere più consapevoli della scrittura e acquisire gli strumenti necessari a dare forma alle idee e alle storie.
Questa decima edizione si concluderà il 20 aprile, la prossima inizierà a gennaio 2021.

A settembre si terrà il GSSP Fare un romanzo, il laboratorio online sulla costruzione di un romanzo, per arrivare dall’idea al primo capitolo, attraverso esercizi di lavoro su personaggi, narratore, linguaggi, struttura e storia. E per imparare a presentarlo a una casa editrice o a un agente letterario.
Inizierà il 21 settembre 2020, qui il modulo di iscrizione.

Per ulteriori informazioni scrivetemi a scrittoripigri@gmail.com